ISTRUZIONI PER LA PRATICA  YOGA  DELL’OSSERVAZIONE DEL RESPIRO

 

Dopo aver assunto una postura corretta e stabile, (anche seduti ‘all’occidentale’ ma con la spina dorsale naturalmente eretta), si rivolga per qualche secondo l’attenzione alla condizione generale del corpo per sciogliere eventuali tensioni muscolari. Se necessario si modifichi la posizione fino a trovarne un’altra che non crei tensione e che favorisca la immobilità..

Chiudendo gli occhi si sposti la coscienza verso la respirazione e si percepisca distintamente l’aria che entra nelle narici e che ne esce. E’ questa propriamente la tecnica ‘anapanasati’ (letteralmente: osservazione dell’inspiro e dell’espiro, o, meglio: dell’energia sottile – prana – che induce il respiro ‘fisico’ con le sue fasi alternate).

E’ essenziale che non si forzi mai il naturale ritmo del respiro.

Nella tradizione orientale in genere, ed indiana in particolare, la coscienza viene fissata, durante la prassi, alla radice del naso, tra le due sopracciglia, su quel punto cioè in cui la tradizione esoterica di quel paese colloca il ‘terzo occhio’, l’‘ajna chakra’, l’organo della ‘visione spirituale’. Alcuni meditanti trovano naturale durante la pratica il volgere gli occhi verso quel punto tenendo socchiuse le palpebre: in effetti può essere un  buon  espediente per la stabilizzazione della concentrazione e per volgerla verso la dimensione metafisica.

In altre tradizioni, come quella giapponese, ci si concentra e si  volge invece lo sguardo verso l’ombelico (lo hara): in tal caso, corrispondentemente, il prana  viene percepito ed assimilato nella sua qualità più ‘bassa’di energia ’fisica’, di forza muscolare, non a caso tale prassi era diffusissima presso i samurai ed in genere nella pratica dello zen.

Tale concentrazione sul respiro determina altri effetti se, durante tale prassi, si colloca la coscienza a livello del cuore: ciò intensifica la sentimentalità; è successo a molti mistici devozionali, anche cristiani, la cui conseguente condizione estatica si sostanzia come puramente e fortemente emotiva, dunque intensa e piacevole ma per nulla lucida noeticamente. E così via dicendo: il principio sito al fondo di tale fenomeno è che la qualità dell’esperienza ‘energetica’, cioè del prana che viene introiettato, è corrispondente al livello a cui si pone la coscienza per il semplice fatto che quell’energia sottile segue la coscienza a livello della corporeità ‘eterica’ collegandosi ai relativi chakra.

Nella tradizione yoghica sono indicati altri cinque modi per poter collegare stabilmente la coscienza al flusso del respiro:

-          un primo metodo (che alcuni vogliono più adatto ai principianti) prevede che si  segua con la coscienza il respiro nel suo passaggio progressivo dalle narici alla gola, ai polmoni e poi al contrario  col movimento di espulsione dell’aria;

-          un secondo (usato sovente nelle scuole zen) consiste nel fissare la coscienza non su un punto del corpo ma nel puro conteggio dei respiri. Con il numero  ‘1’ , recitato mentalmente, si accompagna il primo ciclo inspiro-espiro, col   ‘2’ il ciclo successivo etc.; ciò fino al ‘10’, poi si ricomincia. In tale modalità tecnica è previsto che, ad ogni distrazione, si riinizi il conteggio;

-          un terzo consiste nell’accompagnare l’atto respiratorio con ‘suoni mistici’ ovvero ‘mantra’ (ad esempio: ‘ham’ per l’inspiro e ‘sah’ per l’espiro)  o parole ( inspirando si può dire ‘pace’ ed altrettanto espirando);

-          un quarto utilizza la nostra capacità di visualizzazione: si può  immaginare una corrente di energia luminosa che entra ed esce alternativamente dal nostro organismo;

-          infine si può fissare l’attenzione sulla sensazione complessiva del riempirsi con l’inspirazione e dello svuotarsi con l’espirazione.

 

Sia che la concentrazione sul  respiro poggi su di una sensazione localizzata ( narici, gola, polmoni, cuore, ventre), sia che utilizzi la visualizzazione di forme, colori, suoni o l’evocazione di sentimenti ed emozioni, l’importante è che nel corso di ogni seduta si usi una sola di tali modalità.

Però, dopo aver individuato tra esse quella per noi più piacevole e funzionale, bisogna persistere in essa nelle sedute successive.

Si scoprirà così che la costante attenzione al naturale processo del respiro ne  rallenta il ritmo, ne armonizza le fasi e ne sviluppa la percezione sottile; questa viene descritta dai meditanti per lo più come quella di un ‘soffio’ o di ‘fremito’ leggero, di un piacevole ‘formicolio’oppure come di un pervadente ‘calore’, capaci di permeare l’intero organismo.

In realtà il flusso del prana è sempre presente nel nostro organismo ma si intensifica (e lo si percepisce più chiaramente) quando la coscienza si focalizza su di esso. Se si volge l’attenzione sul respiro lo si ‘innalza’, lo si rende meno ‘denso’, meno ‘corporeo’, lo si ‘spiritualizza’; il prana da forza organica ‘biologica’ si trasforma in  forza spirituale.

Quello che si finisce per avvertire con l’anapanasati non è più il flusso dell’aria fisica ed il muoversi della cassa toracica ma il flusso del prana nel sistema energetico dell’intero organismo.

Con la pratica costante si acquisirà un senso di benessere e di forte vitalità.

La semplice osservazione del respiro ne sublima l’energia (sublimare in latino significa appunto ‘portare in alto qualcosa’ giacché il termine sublimis indica ciò che è in alto, ciò che è elevato e nobile) cosicché l’energia biologica trasmuta (alchemicamente…) in forza della coscienza attivando i chakra superiori (il piombo diventa oro…).

 

Avviene un percepibile cambiamento del sistema energetico dell’intero corpo e si respira con l’intero organismo quella che gli antichi chiamavano una ‘ forza di luce’.

 

Si ricordi sempre che l’anapanasati ha lo scopo di sviluppare (al di là delle  differenti ma equivalenti modalità esecutive) una capacità di concentrazione che, una volta acquisita, comporta di per sé un innalzamento del livello di coscienza, cioè della propria qualità spirituale, oltre che intellettuale.

Il respiro per gli antichi saggi è un ponte tra il conscio e l’ inconscio, tra l’umano e il divino.

Il respiro, ‘sottilizzato’, tenderà ad assumere un andamento più regolare pacificando il mentale (manas) e superando quella aritmicità che lo caratterizza nella ordinaria vita di veglia; procedendo sempre più in profondità nella pratica si giunge ‘naturalmente’, senza sforzo, a stati estatici di sospensione del respiro. L’esperienza yoghica sottolinea costantemente questo fenomeno: “ Chi arresta il respiro arresta anche l’attività del manas; chi ha dominato il manas  domina anche il respiro” dice un testo classico indiano, lo Hathayogapradipika  (IV, 21).

 

Una illuminante descrizione della tecnica della ‘consapevolezza del respiro’ ci è stata data proprio dal già citato Bhagwan Shree Rajneesh che si farà chiamare Osho negli ultimi anni della sua vita (1931-1990):

“Buddha inventò un metodo per creare dentro di sé un intimo “ sole “ di consapevolezza, ed è una delle tecniche più potenti ed efficaci. Essa non si limita infatti a creare un’intima consapevolezza, ma è tale da far sì che, simultaneamente, questa si diffonda nel corpo fino a compenetrare di sé le cellule più remote, la totalità dell’essere individuale. Il metodo escogitato da Buddha è noto come  anapana-sati yoga,  lo yoga della consapevolezza dell’inspirazione e dell’espirazione, dell’ingresso e dell’egresso del “respiro”.

Noi respiriamo, ma la nostra attività respiratoria è inconscia. Il  respiro è  prana, il respiro è l’élan vital  (“la vitalità, la vita vera”), eppure è inconscio. Non avete coscienza della vostra attività respiratoria; e se tale consapevolezza fosse necessaria per respirare, non sopravvivereste a lungo. Presto o tardi finireste per dimenticarvene. Non è possibile continuare a ricordarsi di tutto.

La respirazione è una connessione fra i nostri sistemi volontario ed involontario. Possiamo controllarla in una certa misura, possiamo anche trattenere il fiato per un po’, ma ci è impossibile arrestare permanentemente l’attività respiratoria. Anche in coma da mesi, continueremo nondimeno a respirare. E’ un meccanismo inconscio.

Buddha usa la respirazione per perseguire simultaneamente due finalità: l’una è la creazione della coscienza e l’altra tende invece a far sì che tale coscienza vada a compenetrare di sé le stesse cellule del corpo fisico. “ Abbiate coscienza della vostra respirazione”, disse. E con ciò non intendeva affatto riferirsi al  pranayama (la respirazione controllata yoghica). Si tratta unicamente di fare della propria respirazione un oggetto di consapevolezza, non certo di mutarla.

Non c’è alcun bisogno di intervenire sul ritmo respiratorio. Lasciatelo così com’è, naturale. Non mutatelo. Ma durante l’attività   respiratoria siate consci. Fate sì che la vostra coscienza segua l’inalazione dell’aria; e mentre espirate, che la vostra coscienza segua l’esalazione!

Muovetevi col respiro; riservate ad esso la vostra attenzione; fluite con esso. Non scordate neppure una singola espirazione o inspirazione. Si racconta che Buddha affermò che bastava avere consapevolezza della propria respirazione anche solo per un’ora per conseguire la illuminazione. Non ci si deve però perdere un solo respiro!

Un’ora è sufficiente. Sembra un minutissimo frammento di tempo, ma non lo è. Quando si cerchi di essere consapevoli, un’ora può sembrare un millennio, giacché solitamente non si riesce a restare consci per più di cinque o al massimo sei secondi, e anche questa è un’impresa possibile soltanto a persone molto vigilanti. La maggior parte di noi si perde quasi ogni secondo. E’ possibile che vi sforziate a seguire consciamente un’inspirazione, ma non fate neppure a tempo a completarla che siete già altrove. D’un tratto vi sovviene che state espirando, o avete già espirato…ma eravate altrove.

Essere consci della propria attività respiratoria significa inibire ogni pensiero, poiché pensare distrarrebbe la vostra attenzione. Ma Buddha non disse mai: “Cessate di pensare”. Disse soltanto: “Respirate consciamente”. Non è possibile respirare consciamente e pensare al tempo stesso. Se un pensiero si fa strada nella vostra mente, la vostra attenzione sarà sviata dalla respirazione. Basta un unico pensiero e sarete divenuti inconsapevoli del processo respiratorio.

Buddha adottò questa tecnica, semplicissima ma essenziale. “Continuate pure a fare quel che state facendo”, era solito dire ai suoi bhiksu (monaci), “ma di una cosa semplicissima non vi dovete mai scordare: rammentate l’inspirazione e l’espirazione. Muovetevi con    il    respiro;    fluite   con esso “.

Più cercherete di farlo, più vi applicherete a questo compito, e più diverrete consci. E’ arduo, è difficile, ma una volta che sarete riusciti a farlo sarete divenuti un essere completamente differente in un mondo totalmente differente: una persona diversa.

Ma ben altro è anche l’effetto del metodo. Quando inspirate ed espirate consciamente, vi venite a poco a poco avvicinando al vostro centro, poiché il respiro va a toccare il vero centro del vostro essere. Ad ogni inspirazione, il respiro va a toccare il centro del vostro essere.

Voi siete soliti pensare al respiro sotto l’aspetto fisiologico come a una purificazione del vostro sangue, come a una funzione esclusivamente fisica. Ma se comincerete a esserne consapevoli, approfondirete pian piano il fenomeno oltre il puro aspetto fisiologico, finché un giorno comincerete a percepire il vostro centro, nell’immediata prossimità del vostro ombelico.

Ciò vi sarà possibile però soltanto se muoverete assieme al respiro senza la minima distrazione; più però giungete vicini al centro di voi stessi e più trovate difficile mantenervi consapevoli. Potete cominciare dall’inspirazione. Iniziate a essere consci dell’aria inspirata dal momento stesso in cui essa fa il suo ingresso nel vostro naso. Più essa si addentrerà in voi e più la consapevolezza diverrà ardua. Sorgerà un pensiero, o un suono, accadrà qualcosa, e ve ne farete sviare.

Se riuscirete a spingervi fin dove è il centro di voi stessi, là per un breve istante il respiro cessa e c’è una pausa. Fra l’inspirazione e l’espirazione si apre un fuggevole intervallo. Quella pausa, quell’intervallo, è il centro di voi stessi.

Dovrete praticare a lungo la consapevolezza del respiro, ma quando sarete finalmente capaci di seguirlo fino in fondo, di esserne totalmente coscienti, conseguirete anche la consapevolezza della pausa  che si apre quando il respiro si arresta. Allora non ci sono più né inspirazione né espirazione. In quell’attimo indefinibile di pausa fra i moti respiratori siete al centro di voi stessi. La consapevolezza del processo respiratorio fu adottata quindi dal Buddha come un metodo per approssimarsi sempre più al centro di sé.

Mentre espirate, seguite consciamente l’esalazione del respiro. Troverete un’altra pausa. Due sono gli intervalli: uno al termine dell’inspirazione e prima dell’espirazione, l’altro quando si è esalata completamente l’aria introdotta e non se ne è ancora inalata di nuova. E il secondo è ancora più difficile da avvertire.

Là, fra l’inspirazione e l’espirazione, giungete al centro di voi stessi. Ma esiste un altro centro, il cosmico. Potete chiamarlo “Dio” se vi garba. Il centro cosmico è nella pausa che intercorre fra l’espirazione e l’inspirazione. Questi due centri non sono differenti fra di loro. Dapprima diverrete consapevoli del vostro centro interiore e quindi del vostro centro esterno; ma finirete per scoprire, in definitiva, la loro sostanziale identità. “Fuori” e “dentro” perderanno allora il loro significato.

“Seguite consciamente la vostra attività respiratoria”, afferma il Buddha, “e creerete in voi un centro di consapevolezza”. Quando ciò sarà avvenuto, la consapevolezza comincia a diffondersi fino a raggiungere le cellule più remote del vostro corpo, giacché a ogni cellula è indispensabile l’ossigeno: ogni cellula, per così dire, respira.

Gli scienziati affermano oggi che anche la terra respira. Quando l’universo inspira, si espande, e quando l’universo espira, si contrae. Nelle antiche scritture hindu   (purana) si narra che la creazione è un respiro di Brama – un’inalazione – e che l’espirazione significherà la distruzione (pralaya ), la fine del mondo. Ogni respiro una creazione.

In miniatura, su scala atomica, in voi si verifica lo stesso. E quando in voi la consapevolezza si sarà identificata con la respirazione, respirare la diffonderà in voi a livello cellulare. Allora il vostro corpo diverrà l’universo intero. Anzi, in realtà non avrete affatto un corpo materiale: sarete pura Consapevolezza”.  (Da Meditazione dinamica, Ed. Mediterranee, pp.235-239).

 

SINTESI  DELLE ISTRUZIONI PRATICHE

1-      Creare un ambiente favorevole alla meditazione.

2-      Assumere una posizione comoda e cercare di verticalizzare la spina dorsale.

3-      Chiudere gli occhi.

4-      Portare l’attenzione al corpo e sciogliere le tensioni che vi si percepiscono.

5-      Volgere l’attenzione al respiro e lasciarlo fluire naturalmente.

6-      Portare la coscienza verso il ‘terzo occhio’ e sentire l’aria che entra ed esce nel punto sito proprio alla radice del naso, tra le due sopracciglia. Ogni volta che ci si distrae riportare dolcemente la coscienza al respiro

7-      A conclusione della seduta non alzarsi immediatamente; mantenendo la posizione rilassata per un po’ di minuti ancora, cercare di percepire, anche ad occhi aperti, la positività e la piacevolezza dello stato di coscienza raggiunto.

                                                                                                                                AVVERTENZE

-          Nei primi tempi della pratica è consigliabile utilizzare un  mantra accompagnando mentalmente l’inspiro con il suono: Ham e l’espiro con il suono Sah. Il respiro però non va sintonizzato sul suono: al contrario: il suono deve sempre seguire lo spontaneo fluire della respirazione.

-          Nella pratica potrà accadere che volgendo l’attenzione all’ajna chakra gli occhi tendano spontaneamente a volgersi verso l’alto, se ciò accade lo si deve intendere come un fatto positivo perché così si facilita la stabilizzazione della coscienza.

-          La concentrazione sul respiro ed il rilassamento che ne consegue aumenteranno le pause tra inspiro ed espiro: lasciate che si verifichino senza operare alcuna forzatura; il processo è naturale perché in quella condizione il corpo ha minor bisogno di ossigeno. Un respiro più lento calma il mentale e favorisce la percezione degli stati sottili della coscienza. In effetti nel samadhi (estasi yoghica) si verifica in genere una sospensione del respiro molto prolungata senza che il corpo ne riceva danno.