Attilio Quattrocchi

LA PERCEZIONE DELL’ENERGIA VITALE

- APPUNTI PRATICI –

 

Il primo passo che l’adepto deve compiere sulla via iniziatica è quello di ‘sentire’ il proprio ‘corpo energetico’ (variamente denominato come ‘astrale’,’eterico’ ‘sottile’) per avere coscienza della propria ‘anima’ e delle distinte forze o ‘potenze’(come si sarebbe detto nel mondo antico) che la costituiscono.

Il passaggio dalla ordinaria percezione del corpo fisico a quella del corpo ‘sottile’ è necessario perché dal semplice concetto ‘filosofico’ di ‘anima’ si passi si passi ‘esotericamente’ alla sua diretta percezione.

Solo quando essa diventa una ‘evidenza’ diviene per ciò stesso la base di una ‘trasformazione’ coscienziale evolutiva sostanziale, quindi propriamente ‘esistenziale’, ‘ontologica’.

E’ opinione comune di tutte le scuole mistico/iniziatiche del mondo antico che la filosofia, la semplice attività mentale, la pratica della logica , la dialettica, di per sé non possono giungere a tanto.

E’ necessario un ‘salto’, un passaggio dall’attività ‘rappresentativa’ della mente alla percezione ‘intuitiva’ della propria natura ‘spirituale’.

L’uomo ‘ordinario’ percepisce la ‘realtà’ nella semplice dimensione dei sensi e del pensiero  identificando così se stesso con il corpo e la sua attività.

Eppure la ‘tradizione’ religiosa e metafisica dei popoli è concorde nell’affermare che esiste una realtà (o, meglio, ‘una dimensione di essa’) che sfugge all’attività ordinaria dei sensi e conseguentemente alla ‘mente’ la quale opera solo nel senso di collegare ‘logicamentre’ i dati empirici.

Il pensiero ‘razionale’, infatti, elaborando i dati ‘parziali’ dei sensi (parziali sia ‘quantitativamente’ che ‘qualitativamente’) non può che pervenire a schemi interpretativi concettuali limitati (oltre che limitanti) e dunque sostanzialmente erronei.

Tuttavia sempre più la scienza moderna sta dimostrando l’assunto di base della medicina antica, sia orientale che occidentale, ovvero la costante interazione tra soma e psiche, documentando sul piano sperimentale le modificazioni somatiche (neuromuscolari, neurovegetative, neuroendocrine, immunitarie) correlate alla dimensione emozionale ed affettiva.

Per quanto detto, lo sforzo di scuole e maestri spirituali del mondo antico è stato costantemente quello di aiutare l’iniziando a spostare la propria consapevolezza verso la dimensione ‘interiore’ volgendo la coscienza dall’esterno verso l’interno.

Tale è il senso profondo del motto delfico: Conosci te stesso.

A tanto servono pratiche elaborate dalla tradizione esoterica come quelle dell’osservazione del respiro, della sua intensificazione, sospensione o modulazione attraverso i ritmi più diversi oppure della osservazione dello stesso pensiero nel suo incessante ed automatico fluire.

Spesso tali pratiche si sono però rivestite di forme ‘esotiche’ ed astruserie ‘simboliche’ sino a non far più cogliere il senso profondo di esse.

Sarebbe opportuno, pertanto, ricondurre la prassi iniziatica alla sua essenzialità e riancorarla così alla dimensione del vissuto concreto dell’uomo.

Per giungere a tanto si deve iniziare dalla situazione esistenziale ‘ordinaria’ e dalla mera ‘osservazione’ dei meccanismi vitali e coscienziali operanti nella quotidianità.

Ci si può ‘allenare’ gradualmente alla percezione dell’energia vitale (la psichè dei greci o il prana degli indiani, il chi dei cinesi) proprio volgendo l’attenzione al nostro corpo.

Tale indicazione è solo apparentemente ‘paradossale’ in quanto è attraverso tale ‘concentrazione’, tale ‘focalizzazione’ che si passerà dalla percezione dl corpo ‘denso’ a quella del ‘corpo sottile’.

Bisogna partire dal corpo; con una sola avvertenza: non si deve ‘pensare’ al corpo lo si deve ‘sentire’.

Il costante ‘chiacchiericcio interiore’ in cui vive ordinariamente l’uomo d’oggi, la sua incapacità d’introvertere la coscienza, gli impediscono di percepire la ‘vita interna’ del corpo, la sua ‘struttura energetica’.

E’ a causa di tale ‘estraniamento’ dovuto soprattutto ad una educazione tutta volta al ‘mentale’ al ‘razionale’ che non percepiamo più le pulsioni vitali del corpo, i suoi ‘messaggi’ e siamo sostanzialmente ‘alienati’ rispetto ad esso.

Molti dei problemi che l’uomo d’oggi incontra nel rapporto con se stesso (e, conseguentemente, con gli altri) nascono da una difficile relazione col corpo.

La mente (formata e radicata in un contesto sociale totalmente disarmonico) lo ‘violenta’ continuamente nelle sue funzioni fondamentali: non si è più in sintonia, ad esempio, persino con molti istinti che lo regolano e ne assicurano la sopravvivenza, come lo stimolo della fame, dell’escrezione, del sonno, del sesso.

La mente pretende di regolarli o sopprimerli a proprio piacimento causando gravi problemi psicologici  e somatici come anoressia, bulimia, stitichezza o diarrea, insonnia cronica, ipereccitazione  (e quant’altro…) da cui provengono poi vere e proprie malattie ‘organiche’.

L’uomo del mondo moderno ha perso il suo collegamento con le pulsioni che vengono dall’inconscio organico e  con i ritmi biologici e poiché i suoi ritmi sono quelli della natura che nel percorso evolutivo ha strutturato il suo stesso corpo cade spesso in una condizione cronica di stress nervoso.

Una volta che  diviene ‘teso’ non sa poi più ‘dis-tendersi’; ma la natura della ‘vita’, il suo ‘fluire’ è scandito ed espresso proprio dall’alternarsi somatico e psichico di stati di contrazione e di decontrazione che armonicamente si susseguono.

La vita è contrazione e decontrazione, tensione e rilassamento, inspiro ed espiro, sistole e diastole, nutrizione ed evacuazione e ‘psicologicamente’ (in assoluta ‘sintonia’ psicosomatica) la vita è un dare ed un avere, un comunicare ed un ascoltare.

Questa è la dinamica del ‘vivente’.

La sua stessa struttura elementare, la cellula, pulsa energeticamente, si espande e si contrae.

La vita è l’energia di un corpo.

Bisogna pertanto allenarsi, agli inizi, a ‘sentire’ sempre più distintamente l’energia ‘invisibile’ del proprio corpo.

Lo si può fare, è vero, ‘direttamente’ con una pratica yoga quale quella del rilassamento profondo dello shavasana (la ‘posizione del cadavere) o quella dell’anapanasati (‘osservazione’ del proprio respiro) ma tali prassi già presuppongono un atto ‘tecnico’ e in qualche modo quindi ‘separato’ dalla vita ordinaria dell’uomo moderno.

Per tale uomo quella pratica od altre analoghe non possono essere un ‘primo passo’ o, quantomeno, è difficile che lo possano essere.

Si può invece iniziare ‘osservando’ la propria struttura energetica col prendere coscienza degli stati di tensione o distensione nervosa nel vivere quotidiano e capirne così i meccanismi.

Tale ‘comprensione’ è naturalmente il presupposto necessario per ogni suo ‘controllo’ e per ristabilire attraverso la ‘saggezza del corpo’ la propria salute.

L’eccesso di energia vitale lo si percepisce come ‘nervosismo’, condizione che si presenta come una eccitazione interna facile a ‘sfogarsi’ verso l’esterno e per questo definibile anche come una condizione di ‘irritabilità’ dell’intero sistema nervoso (nel linguaggio comune si dice che in tale condizione si hanno ‘i nervi a fior di pelle’ o ‘scoperti’ o ‘a pezzi’…).

Quando ciò si verifica il meccanismo energetico/vitale naturale orienta il corpo (o, addirittura, lo ‘spinge’, lo ‘costringe’) a compiere atti capaci di ‘scaricarla’.

La similitudine con la ‘messa a terra’ d’un impianto elettrico sovraccaricato non è del tutto impropria, anche se l’energia vitale essendo ‘psichica’, cioè coscienziale (vale a dire legata alle nostre emozioni e alle nostre convinzioni), è per ciò stesso di natura diversa.

Quando l’eccesso energetico, la grande tensione ‘psicologica’ ‘sovraccarica’ il corpo e non trova il suo ‘naturale’ sbocco espressivo o attivo può determinare persino una condizione d’isterismo, cioè una forma di nevrosi caratterizzata da conflitti psichici e da conseguenti disturbi somatici.

E’ il meccanismo ‘scoperto’ (per così dire…) da Breur e Freud i quali ‘terapeuticamente’ guidavano con la loro ‘analisi’ i pazienti alla ‘catarsi abreativa’, cioè alla liberazione ‘fisica’ delle tensioni emotive.

Nel linguaggio clinico attuale si preferisce sostituire all’espressione nevrosi isterica quella di sindrome caratterizzata da disturbo di conversione.

In effetti essa è connotata appunto dalla tendenza del ‘soggetto’ a tradurre e a ‘convertire’ in disturbi somatici i propri problemi di natura psicologica.

Tale processo di conversione (che implica evidentemente l’esistenza di una energia psichica che possa ‘plasmare’ il corpo) avviene naturalmente a livello inconscio ove le disfunzioni somatiche si trovano a livello ‘potenziale’ nella forma di disturbi e conflitti affettivi.

Un turbamento emotivo tende così a tradursi in un sintomo che simbolicamente rappresenta il significato profondo del conflitto psicologico: una cecità isterica, ad esempio, può essere originata (come nel caso di Anna O. studiato da Freud) da un rifiuto di ‘vedere’ qualche scena traumatizzante che è stata rimossa a livello inconscio; oppure: una paralisi motoria può tradurre sintomaticamente un ricordo, traslato nel profondo, in cui una sofferenza ‘insopportabile’ per l’io è collegata ad un movimento, ad un’azione del soggetto e così via…

E’ evidente che solo un’analisi terapeutica, in tali casi, può individuare la causa vera (che è propriamente ‘remota’) del disturbo somatico e così avere possibilità reali di cura.

In teoria nulla vieterebbe alla persona che si trova in stato di tensione di ‘scaricarla’ autonomamente nei tempi e nei modi opportuni (attraverso urla, pianto, imprecazioni, agitazioni motorie e quant’altro) seguendo così l’impulso di una naturale ‘saggezza corporea’che tende a ripristinare in quel modo uno stato tensivo’ordinario’.

Tuttavia il problema è che proprio la mancata percezione ‘interna’ del corpo da parte della coscienza della persona stessa, cioè del suo ‘io’ mentale,  ha reso l’unità psicosomatica eccessivamente ‘carica’e spesso ‘cronicamente’ tesa.

In altri termini, è appunto la inconsapevolezza della dimensione ‘energetica’ del corpo, il non ‘sentirlo’ più, che causa e ‘cronicizza’ la condizione di sovraccarica nervosa con tutte le sue conseguenze.

Numerosi studi hanno documentato il fatto che in genere tale insensibilità si forma sin dall’infanzia a causa di una educazione eccessivamente ‘repressiva’ che intralcia la libera circolazione della ‘libido’ (per usare il termine freudiano) nell’organismo e la sua conseguente ‘espressione’.

Più che il fondatore della psicanalisi è stato un suo geniale discepolo, Whilelm Reich, che ha dimostrato come la libido sia una vera e propria energia biologica (da lui chiamata ‘orgone’) che circola nell’organismo ma che può essere inibita e trattenuta sino al punto di creare contratture muscolari croniche.

Queste, sorte sin dai primi anni di vita come sistema difensivo necessario per evitare o limitare la reazione degli educatori alla espressione della libera istintività infantile, sono capaci di produrre una vera e propria ‘corazza caratteriale’ oltre che disfunzioni del sistema neurovegetativo.

La muscolatura contratta tende tra l’altro ad ostacolare la circolazione sanguigna e dei fluidi corporei; simmetricammente un corpo rigido ‘fissa’ anche emozioni negative come l’angoscia, la paura, l’ansia, la rabbia…

Per Reich il ciclo bioenergetico nella regolarità ‘fisiologica’ di un organismo attraversa invece quattro fasi: Tensione – Carica – Scarica – Rilassamento; per cui ogni sua alterazione è patogena sia nella sfera psichica che in quella fisica.

La tesi di una natura ‘sessuale’ di tale forza biologica condivisa da Freud e Reich non è stata accettata da Karl Gustav Jung il quale, opportunamente ha preferito definirla più genericamente come ‘energia vitale’ ritenendo la sessualità solo un ambito fondamentale ma particolare della sua manifestazione.

La causa primaria della tensione nervosa è la mancanza di espressione delle emozioni soprattutto quelle connesse a dei traumi.

L’emozione è etimologicamente un impulso all’azione che viene dall’interno (il prefisso latino ‘e’ indica un movimento che viene dal basso).

Essa è in sostanza una re-azione ad uno stimolo ambientale.

Si deve comprendere come ogni emozione comporta cambiamenti a tre livelli: 1) fisiologico; 2) psicologico; 3) comportamentale.

A livello fisiologico si verificano modificazioni fisiche come quelle della respirazione, della pressione arteriosa, del battito cardiaco, della circolazione, della secrezione, della digestione ecc.

A livello psichico muta la percezione del proprio status coscienziale, tende ad alterarsi il controllo di sé, mutano le abilità cognitive (si può perdere ad esempio la lucidità…).

A livello comportamentale cambia il tono della voce, si assumono diverse gestualità ed espressioni facciali, si pone in atto una reazione di attacco o di fuga.

 

David Goleman, il celebre autore del testo Intelligenza emotiva ha raggruppato le emozioni all’interno di otto ‘famiglie’ fondamentali:

 

*Collera: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione, irritazione, acrimonia, animosità, fastidio, irritabilità, ostilità e, forse al grado estremo, odio e violenza patologici.

*Tristezza: pena, dolore, mancanza d’allegria, cupezza, malinconia, autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione e, in casi patologici, grave depressione.

*Paura: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela, esitazione, tensione, spavento, terrore; come stato psicopatologico, fobia e panico.

*Gioia: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto, divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione, soddisfazione, euforia, capriccio e, al limite estremo, entusiasmo maniacale.

*Amore: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione, adorazione, infatuazione, agape.

*Sorpresa: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.

*Disgusto: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.

*Vergogna: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione, rimpianto, mortificazione, contrizione.

Al di là delle catalogazioni che variano da studioso a studioso, quel che conta ai fini del recupero del benessere emozionale è capire che qualsiasi emozione tende per sua natura alla espressione e all’azione.

Ma se inibire tale meccanismo è un andare contro la natura ‘corporea’dell’uomo, altra cosa, evidentemente, è il controllo razionale di esse che è la base dell’etica e della stessa civiltà, come Freud ha giustamente sottolineato.

L’inibizione, quella patogena, c’è quando si verifica l’incapacità totale di una persona alla espressione emozionale.

Le emozioni quindi vanno concepite come ‘forme’ specifiche d’energia biologica che regolano ed influenzano il corpo.

Se il termine ‘emozione’ connota quindi un intenso moto affettivo (piacevole o penoso) come diretta risposta ‘fisiologica’ a determinate impressioni sensibili, il termine ‘sentimento’ connota più che altro uno stato affettivo dell’animo più duraturo, più ‘elaborato’, capace di dare un ‘tono’ particolare alle nostre sensazioni e rappresentazioni mentali.

Anche i sentimenti, quindi, pur se in forma diversa hanno un impatto sul corpo.

Un sentimento persistente di odio comporterà conseguenze fisiologiche né più né meno di uno scoppio di rabbia immediato, anche se tali correlazioni avranno tempi e modi diversificati.

Naturalmente un impatto incisivo su tutte le funzioni fisiologiche lo avranno gli istinti, anch’essi dal punto di vista ‘energetico’ configurabili come ‘pulsioni’ fondamentali determinanti per la sopravvivenza dell’individuo e quindi comportanti gravi conseguenze in caso di inibizione.

L’istinto è un impulso naturale indipendente dalla riflessione tanto che nella psicanalisi viene presentato come l’insieme delle forze inconsce contro cui spesso l’uomo deve lottare per avere una vita morale o sociale.

Tale lotta fonte di ogni nevrosi comporta una necessaria ‘mediazione’ tra l’impulsività istintuale e la razionalità.

Anche il semplice ‘umore’ (come ben sapeva la scuola ippocratico-galenica) comporta reazioni fisiologiche significative perché con quel termine si indica il tono affettivo di base di un individuo in relazione ad un momento specifico o ad un periodo più lungo, tanto da poter indicare l’indole della persona stessa (nella tipologia ippocratica l’individuo poteva essere per tal motivo bilioso o melanconico, sanguigno o flemmatico).

Emozioni, istinti, sentimenti, stati d’umore, insomma tutta la varia gamma e coloritura dell’affettività ha impatto sull’organismo e ciò sta a testimoniare l’esistenza di una energia biologica che circola nell’organismo e collegando corpo e mente in una inscindibile unità.

Poiché l’intelligenza è collegata alla affettività risulta altrettanto chiaro che le nostre convinzioni determinando una struttura emozionale possono spesso essere la causa profonda di alterazioni organiche .

Si pensi, ad esempio, a quanto possano incidere ‘fisicamente’ un profondo senso di colpa ed una condizione d’angoscia originati da convinzioni religiose  indotte sin dalla più tenera età…).

Non è un caso che attualmente si parli nel campo medico di una ‘biologia delle credenze’.

Tale tesi, del resto, è un dato di fatto acclarato da tutta la ricerca psicologica e psicanalitica condotta dalla fine dell’ottocento sino ai nostri giorni ( si pensi alla dottrina freudiana circa il Super-io).

Resta naturalmente aperta la questione circa la ‘natura’ di tale energia considerata in relazione alle altre energie fisiche già note alla scienza positivistica:  certo è che essa non può essere omologata alle energie di tipo ‘meccanico’ studiate sino ad oggi dalla scienza cartesiana-newtoniana.

Nonostante i grandi progressi della scienza nello studio di meccanismi somatici di tale interazione (testimoniati dalla nascita della psiconeuroendocrinoimmunologia –PNEI) non si può prevedere se mai un giorno sarà possibile osservare ‘direttamente’con strumentazioni scientifiche tale energia (di cui, di fatto, vediamo solo il ‘precipitato’ fisico) ma quel che è certo è che uno strumento eccezionale di percezione già è disponibile per chiunque e questo strumento è appunto l’uomo, l’uomo con la sua capacità percettiva ‘interna’.

Se ci si osserva ‘dall’interno’ ci si accorge ad esempio che esiste di fatto una scala quantitativa (per così dire) delle tensioni per cui alcune, quelle più acute, sono più facilmente percepibili anche ad una coscienza poco ‘sottilizzata’, poco attenta alla dimensione interiore.

Tuttavia, per quanto detto, anche nel caso in cui un soggetto affermi di non avere alcuna tensione particolare c’ è da dubitare in linea di principio della inesistenza di essa; quella affermazione infatti spesso è ‘sincera’ e ‘reale’ solo nel senso che egli non percepisce alcuna tensione particolare.

L’io non percepisce la tensione cronica perché esso stesso, come si è detto, si è costruito su di essa, si è ‘identificato’ con essa spesso sin dall’età infantile e non conosce altra condizione che quella, la considera ‘normale’, non ha termini di raffronto giacché proprio attraverso il processo d’introiezione delle situazioni conflittuali e delle sue ‘risposte’ psicologiche e comportamentali egli ha ‘costruito la sua ‘identità’, la sua ‘personalità’.

Quando, nonostante tutto ciò, la persona ‘sente’ una qualche tensione è da essa avvertibile congiuntamente anche l’impulso a ‘liberarsene’.

Se ciò accade si constata altrettanto facilmente che lo scarico della tensione genera ‘piacere’.

Quanto più forte è stata la tensione tanto più intenso sarà il piacere che si proverà nel liberarsene.

Lo si avverte come un senso di liberazione da qualcosa di oppressivo, estraneo e disturbante.

E’ il processo indicato come ‘catarsi’, è la ‘purificazione’ da sempre nota ‘istintivamente’ all’uomo e per questo inserita anche nei contesti sociali sacrali di tutte le civiltà antiche.

Un naturale sentimento di benessere si ripristina quando si riattiva tale meccanismo in base al quale ad ogni ‘carica’ energetica biologica segue la conseguente ‘scarica’, processo questo che è alla base dell’intera vita sia biologica che psicologica.

Una tipica espressione moderna dello stato cronico di ipertensione bioenergetica tendente a creare una condizione di ‘esaurimento’ (sindrome nevrastenica con debilitazione generale) è lo stress.

Questo termine in inglese significa ‘sforzo’, ‘tensione’, ‘spinta’ ed indica appunto una condizione cronica in cui l’unità psicosomatica percepisce un fastidioso senso di fatica e di logorio.

Proprio la moderna medicina ha dimostrato come una persona stressata sia più esposta di altre alle malattie.

Ci sembra utile a tal punto riflettere su quanto in merito ha scritto recentemente il dottor Massimo Biondi del Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica presso la Università ‘La Sapienza’ di Roma:

“E’ documentato che sintomi acuti di stress emozionale attraverso la mediazione limbico- ipotalamica influenzano molti neuropeptidi e ormoni, il sistema orto e parasimpatico, il sistema immunitario (attraverso fenomeni di neuroimmunomodulazione). La morte di una persona cara può essere seguita da immunodepressione protratta per molte settimane. Stati estremi di angoscia o conflitto producono condizioni d’instabilità elettrica cardiaca, con aumento del rischio di fibrillazione ventricolare o aritmia fatali. Eventi che colpiscono la vita affettiva (incidenti, traumi, morte o separazione di persone care, improvvisi dissesti finanziari, ecc.) inducono modificazioni fisiologiche (reazione acuta di stress) che possono dare sintomi fisici a carico di vari apparati o influenzare il decorso o la risposta alle terapie in varie malattie, come nell’ipertensione arteriosa, nel diabete, nella malattia coronarica, nel morbo di Crohn e nella colite ulcerosa. Nella pratica clinica del medico generale e in alcuni ambiti specialistici vari pazienti presentano sintomi o disturbi che vengono definiti genericamente ‘psicosomatici’ di questo tipo. Essi possono interessare vari organi e apparati, più comunemente quello gastroenterico, cardiocircolatorio, muscolare, osteoarticolare, cutaneo, respiratorio. Alcuni quadri sono veri e propri disturbi somatici su base emozionale (malattie ex emotione), come alcune forme di ipertensione arteriosa, tachicardie, cefalee, alcuni disturbi cutanei, talune gastriti e coliti. Il medico riscontra un’influenza importante di fattori emozionali come preparanti o scatenanti. Più complesso è il problema dell’azione di situazioni di conflitto psichico e stress di lunga durata che possono alterare la funzionalità di organi e sistemi e aumentare la suscettibilità a varie malattie psicosomatiche. Studi sperimentali hanno documentato questo, ad esempio per l’ulcera peptica, l’ipertensione essenziale e le neoplasie” (Da: La medicina psicosomatica: panoramica e quadri clinici).

 

Altrettanto interessante è quanto scrivono Giorgio Crucitti e Stefano Boschi nel loro studio intitolato: ‘Emozioni, traumi e malattie’ (dal sito web CFR, p. 4) circa il meccanismo di collegamento mente-corpo ed il valore di ‘messaggio’, indirizzato al conscio, del sintomo e della malattia:

“Gli studiosi Lazarus e Folkman definiscono lo stress come la condizione derivante dall’interazione di variabili ambientali e individuali, che vengono mediate da variabili di tipo cognitivo. Quindi gli eventi sono stressanti nella misura in cui sono percepiti come tali, per cui uno stimolo produrrà o meno una reazione di stress a seconda di come viene interpretato e valutato.

Ormai tutte le ricerche sullo stress e sulla psicofisiologia delle emozioni hanno dimostrato come la reazione emozionale, comunque indotta, si accompagna a:

- attivazione dall’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene;

- stimolazione della midollare del surrene;

- variazioni nella composizione chimica e nella morfologica del sangue.

L’assunto di base è che la soppressione della via di espressione comportamentale degli stati emozionali negativi sorti in coincidenza di situazioni traumatiche infantili e mai adeguatamente elaborati (non emersi, non riconosciuti e non accettati dal soggetto, anche in età adulta) finisca per modulare la risposta neuro-endocrino-immunitaria e con essa il metabolismo dei neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale e di conseguenza i processi metabolici somatici.

In tal modo, gli organi e le funzioni corporee che esprimono  quegli stati emozionali finiscono per risultare compromessi.

La malattia costituirebbe, dunque, una sorta di «messaggio» rivolto alla consapevolezza, che tende però a non essere adeguatamente compreso.

Gli stati emozionali negativi sorti in coincidenza di situazioni traumatiche e non elaborati possono preservarsi fino all’età adulta e modulare la risposta somatica neuro-endocrino-immunitaria, determinando quindi l’instaurarsi di patologie somatiche”.

Le scoperte mediche moderne non fanno altro, quindi, che confermare l’assunto antico per il quale le malattie hanno origine nell’anima.

Tuttavia, come sempre, quel sapere è deposto e celato nelle stesse parole del lessico ordinario di cui noi ‘moderni’ignoriamo l’originario significato ‘sapienziale’.

Infatti, non si riflette mai sul termine ‘patologia’ con cui si indica attualmente quella branca della medicina che studia appunto le malattie.

Il vocabolo deriva dal greco ‘pathos’ che veniva utilizzato per indicare sia i sentimenti più intensi, le forti emozioni o passioni che le malattie ‘somatiche’.

Per questo nell’Ellade il verbo ‘pathologhéo’ indicava sia lo studio delle passioni dell’anima che quello delle corrispondenti  e conseguenti affezioni del corpo.

Si riteneva pertanto che l’indagine medica ‘somatica’ avesse precipuamente il compito di comprendere i modi con cui l’anima ‘inferiore’ (quella istintiva e emozionale) si connette all’organismo fisico.

La struttura energetica era considerata l’essenza di un corpo vivente, la sua potenza sottile e per questo definita energheia o anche dynamis, insomma era la sua ‘aria’ vitale.

Invece si riteneva che lo studio dell’anima ‘superiore’ intesa come ‘coscienza’ competesse propriamente alla filosofia.

Tale tipo di anima la si indicava come ‘separata’ proprio per indicarne la sostanziale indipendenza dal corpo e, conseguentemente, la natura ‘metafisica’.

Percepire dall’interno il corpo mette nella condizione di ‘liberarlo’ dalle tensioni prima che  queste raggiungano un livello di pericolosità funzionale.

In tal caso saggezza vuole che ci si affidi alla legge di Natura.

Come si è detto questa ci ha fornito diversi meccanismi per operare tale catarsi; uno di questi è, per esempio, il cosiddetto ‘tremore neurogeno’, fenomeno ben noto anche nel mondo animale.

Uno studioso allievo di Alexander Lowen (il ‘padre’ della bioenergetica post-reichiana), David Berceli, ha studiato tale meccanismo neurofisiologico ed ha elaborato un vero e proprio metodo per il rilascio delle tensioni patogene da lui denominato Tension Releasing Exercises (T.R.E.).

Ci sembra utile riportare alcune sue considerazioni tratte dal relativo sito internet:

“La tensione fisica è una sensazione ben nota a tutti. Essa è spesso il prodotto di difficili esperienze a livello psicologico e/o fisico. Lo stress, l’ansia ed i loro conseguenti gradi di tensione psico-fisica si presentano in un continuum, da un’ansia leggera sino ad un grave trauma. In ogni caso essi producono un cambiamento temporaneo dell’assetto posturale del nostro corpo. Nel tempo, con il susseguirsi di episodi di stress, questi pattern di tensione muscolare protettiva si cronicizzano fino a produrre effetti fisiologici deleteri. La tensione cronica si esprime come dolore fisico e sofferenza, e può, nel tempo, essere la causa di gravi malattie degenerative. Esperienze prolungate di abusi psicologici od emotivi, di violenza domestica o sociale, di lavori stressanti o di problemi finanziari possono essere tutte causa di tensioni muscolari croniche. Questi tipi di tensione sono spesso più difficili da identificare ma non sono, per questo, meno dannosi per il corpo.

Come esseri umani, siamo progettati da un punto di vista biologico e neurologico per sperimentare, sopportare, sopravvivere ad eventi stressanti e persino ad evolvere grazie ad essi. Siamo geneticamente codificati per liberarci della tensione generata da questi eventi e sbarazzarci di qualsiasi limitazione che ostacoli o interferisca con il naturale processo evolutivo del corpo umano.

Ogni esperienza stressante o ansiosa che si verifichi in forma fisiologica, cognitiva, emotiva o interpersonale, si ripercuote sul funzionamento del corpo. Dal momento che il corpo è un accurato libro di storia delle nostre esperienze di vita, è essenziale che il corpo stesso venga integrato nel processo di guarigione.

Il sistema muscolare umano è progettato per contrarsi robustamente – come a formare un “guscio protettivo” – nel momento in cui ci troviamo in pericolo di vita. E’ essenziale sbloccare questi meccanismi inconsci dopo la conclusione dell’evento stressante. Il superamento del pericolo è associato al rilascio delle contrazione protettive, che si manifesta fisiologicamente con il tremore muscolare. Il tremore ripristina uno stato di rilassamento muscolare in modo da prevenire lo sviluppo di dolori fisici e costrizioni articolari.

Una volta che l’evento stressante si è concluso, il sistema nervoso del corpo è progettato per scrollarsi di dosso, letteralmente, questi tipi di tensione muscolare mediante una forma di tremore muscolare. Queste vibrazioni evocate dal sistema nervoso autonomo, gli stessi tremori che sperimentiamo quando siamo spaventati, ansiosi o anche piacevolmente eccitati, segnalano al cervello di allentare la tensione generalizzata e di ritornare allo stato di riposo. Questi tremori sono conosciuti come tremori neurogeni.

A causa dell’eccessiva importanza data alla sfera mentale, il genere umano ha progressivamente indebolito questo meccanismo naturale di tremore, tanto da non riuscire più a disfarsi efficacemente della tensione muscolare e facendo sì che i nostri corpi restino cronicamente contratti anche lungo tempo dopo la conclusione del pericolo. Disturbo da stress post traumatico (PTSD) è un termine usato per spiegare la prosecuzione di pensieri, emozioni e sentimenti inquietanti che persistono dopo il trauma. Spesso lo stress e l’ansia possono essere così intensi da creare sintomi identici a quelli post traumatici. Siccome l’esperienza può essere emotivamente e psicologicamente sconvolgente, il corpo immagazzina i ricordi, i pensieri e le emozioni relative al trauma, per poterle gestire ed integrare in un secondo momento. Finché non sarà avvenuta la scarica muscolare e nervosa, entrambe le parti, emotiva e razionale, del nostro cervello trasleranno questa eccessiva carica o in emozioni intense come ad esempio odio, rabbia, vergogna ecc., oppure in idee di vendetta, sfiducia o ideologie negative”.

Non è dunque un caso che l’induzione di uno scuotimento corporeo è stata utilizzata ‘intuitivamente’ da molte culture antiche come terapia di disturbi psicosomatici e persino come tecnica ‘iniziatica’per accedere ai ‘mondi superiori’ (si pensi al menadismo bacchico o al tarantismo dell’Italia meridionale).

La scuotersi, il vibrare, il tremare sono stati considerati già dall’antichità strumenti efficaci di liberazione interiore, tant’è vero che nello stesso linguaggio popolare si dice ancor oggi che la condizione di agitazione nervosa fa ‘ballare per i nervi’ o che, appunto, fa venire la ‘tremarella’.

Uno stato psichico corrispondente è definito, non a caso, ‘trepidazione’ la quale nasce dal senso di una tensione ansiosa che si traduce com’è noto nella vibrazione del corpo (trepidare in latino significa appunto ‘tremare’).

Se poi andiamo a considerare più da vicino le manifestazioni corporee di quello stato d’animo possiamo constatare uno sguardo inquieto, una generale eccitazione motoria, una respirazione disarmonica.

Sappiamo che la stessa voce può ‘tremolare’ per l’emozione.

Un colpo di tosse o persino una risata possono essere ‘strumenti’ che la natura utilizza per ‘liberare’ il corpo e la mente da una eccessiva tensione (in tal caso si parla di ‘tossetta nervosa’ o di ‘risata isterica’).

Sostanzialmente un ‘tremito’ è anche il tic nervoso, indice di un conflitto interno tra impulso istintivo/emozionale e razionalità giudicante che si traduce somaticamente in una contrazione frequente ed involontaria di muscoli (soprattutto quelli facciali).

Un modo del corpo per scaricare la tensione (soprattutto quella localizzata nel ventre) è quello di scuotere le gambe , cioè di farle ‘tremare’, anche in posizione di riposo e tale sistema può essere talmente compulsivo da divenire una vera e propria sindrome.

Ogni carica nervosa eccessivamente tensiva si tramuta in un tremito: si pensi al fremito amoroso, all’eccitazione dell’ispirazione artistica, persino allo ‘zelo’ religioso ed al ‘furore’ bellico.

Ed è un ‘tremore’ anche quel dolce ‘brivido’ che attraversa la schiena nei momenti d’intensa emozione o di forte paura.

La scarica neuro-emozionale avviene in modo naturale.

Se deliberatamente si lascia che il corpo ponga in atto il suo innato meccanismo catartico/abreativo, ci si accorgerà che ogni suo movimento libererà spontaneamente  una qualche tensione emotiva e che il corpo, il quale non inventa nulla, nella sua saggezza sa come e quanto di volta in volta ‘scaricare’ per ripristinare la sua salute.

Usare tale ‘meccanismo’ come ‘tecnica’ significa appunto non solo assumere come proprio intento quello di dar libero corso alla dinamica catartica ma anche e soprattutto seguire con la coscienza i moti vibratori cercando di afferrarne il significato interno, cioè di percepire ‘sottilmente’ quali ‘emozioni’ il corpo stia liberando con quello scuotimento.

In tale prassi  di auto liberazione, se ben ci si concentra sulle sensazioni interne che accompagnano i moti vibratori, si avverte in effetti un ‘sottile piacere’ che scorre nel corpo e se si ci connette con tale intima sensazione la scarica ‘fisica’ diviene più agevole e pregna di ‘significato’, quindi viepiù efficace.

Quindi lo scuotimento o, più in generale, il libero e spontaneo movimento( come, ad esempio, quello della danza) sono stati storicamente utilizzati dall’uomo per ripristinare l’armonia/salute nella ‘struttura’ psicosomatica.

Tale energia vitale riequilibratrice non è altro che quella che gli antichi chiamavano ‘vis medicatrix naturae’, cioè forza di risanamento insita negli esseri viventi.

Modernamente la si designa come ‘omeostasi’, cioè la capacità degli organismi viventi di mantenere un proprio stabile equilibrio pur nel variare delle condizioni esterne.

L’esistenza di una ‘consapevolezza organica’ capace di ripristinate ‘istintivamente’, ‘automaticamente’ (vale a dire al di fuori della consapevolezza mentale) un equilibrio compromesso dimostra che la correlata energia plasticizzante si può intendere come un ‘campo d’energia’ il quale funge da modello ‘ideale’ a cui il corpo deve adeguarsi se vuole mantenersi in salute.

Tale modello non va naturalmente inteso come una astratta ed inefficace ‘forma’, anzi è operativamente attivo, dotato di una sua ‘saggezza’ e di una specifica coscienza (è quello che il medico Paracelso chiamava il ‘corpo invisibile’ individuandolo come causa ‘occulta’ delle malattie).

Si potrebbe chiamarla platonicamente l’idea del corpo, la sua struttura animica, quintessenziale, il modello strutturale, perfetto, a cui l’organismo somatico si deve adeguare, a cui ‘tende’ spontaneamente per poter risanare.

Per quanto detto diviene chiaro come in Platone l’aspirazione alla perfezione intrinseca all’uomo è dunque sostanzialmente da intendere come aspirazione al mondo ‘ideale’ al mondo delle ‘forme incorporee’ in cui si trovano i modelli perfetti di tutte le realtà.

L’aspirazione alla perfezione è un’istanza metafisica’, è volontà di passaggio dal mondo degli enti empirici soggetti alla devastazione del tempo a quello degli archetipi eterni dell’iperuranio (cioè del mondo sottile), è naturale ed ‘insopprimibile’ aspirazione alla salute fisica, al bene morale, alla felicità emotiva, alla conoscenza noetica.

Se si prende opportunamente contatto con le energie interiori si può comprendere che esse possono essere armonizzate non solo attraverso una catarsi ‘fisica’ ma anche attraverso una ‘catarsi spirituale’, una ‘sublimazione’.

La pratica artistica, la preghiera religiosa, la meditazione filosofica già nel mondo antico venivano considerate vie di sublimazione delle energie organiche istintivo-emozionali.

Esse sviluppano una superiore capacità di armonizzazione che si traduce in  autodominio (cioè facoltà di controllo volontario, deliberato e consapevole, da non confondere come s’è detto con la ‘inibizione’) delle energie somatiche e rendono ‘spontanea’ una vita morale.

Dal punto di vista comportamentale in tal caso si dice che tale persona è saggia e ‘matura’perché sa ‘tenere i nervi saldi’.

L’autocontrollo, la piena padronanza di sé (quando non nascono ‘nevroticamente’ da semplice repressione) attestano una evoluzione dello spirito, una integrazione consapevole delle energie sottili vitali.

Naturalmente chi è capace di ciò non ha (o non ha più) bisogno della catarsi ‘fisica’.

Tale stato di coscienza, considerato tipico dei ‘saggi’ era dagli antichi chiamato ‘autonomia’, ‘autarchia’, ‘apatheia’ ed esso aveva come base il radicamento dell’io in una dimensione spirituale ‘superiore’ conseguita la quale lo spirito si rende indipendente dal corpo e dalle sue passioni.

Non è dunque un caso che tutte le scuole iniziatiche imponessero agli adepti un preventivo periodo di ‘purificazione’ fisica ed emozionale, che si concretizzava e manifestava in una solida vita morale.

Ma la catarsi fisico-emozionale e la catarsi noetico-spirituale non si consideravano in contrapposizione l’una con l’altra: erano intese, piuttosto, come due tappe dello steso processo di evoluzione coscienziale: restaurato un ‘normale’ equilibrio psicofisico l’uomo può iniziare a ‘sublimare’ le energie sottili del suo corpo spostando la sua coscienza, il suo ‘senso dell’io’, in una dimensione più ampia ed elevata di quella naturale-materiale.

Questo processo di crescita poteva avvenire anche semplicemente intensificando le prassi catartiche e quindi anche il ‘tremito’ bioenergetico (che in una prima fase ‘purifica’ ed in una più avanzata ‘spiritualizza’) poteva divenire, andando oltre la semplice dimensione ‘fisica’, un modo per connettersi a dimensioni dell’Essere più elevate facendo fluire in sé un’energia più sottile, una ‘forza divina’.

Nell’ambito religioso spesso l’esperienza diretta del divino è stata accompagnata da tremori corporei che si riteneva fossero ‘segno’ di una operante ‘purificazione dell’anima’ ed in particolare ne è stato caratterizzato un movimento  di tipo ‘pentecostale’, quello dei ‘quaccheri’.

Sorto in Inghilterra nel secolo XVII nel contesto della tradizione protestante e diffusosi negli Stati Uniti esso prende nome proprio da quella condizione corporea (definita ‘fremito mistico’) che subentrava nei seguaci quando sentivano fluire in loro la Grazia di Dio da essi stessi invocata.

Il termine viene infatti dall’inglese quaker, cioè ‘tremolante’, derivato dal verbo to quake che significa appunto ‘tremare’.

Anche nel contesto storico iniziatico occidentale si è spesso fatto riferimento a tale fenomeno come ‘fremito massonico’, caratteristico della cerimonia di affiliazione a tale Associazione consistente nella trasmissione del Potere Spirituale da essa detenuto nel ‘corpo’ stesso dell’adepto.

Sempre nell’ambito iniziatico, ma nel contesto orientale, si può trovare analogia con due tecniche che si sono diffuse negli ultimi tempi anche in occidente; esse in realtà hanno recuperato prassi antiche: il latihan di Pak Subuh o il kundalini yoga di Osho.

Il principio a loro comune è quello di scaricare energie senza opporre resistenza alcuna a qualsiasi movimento spontaneo il corpo voglia fare in una condizione di vigile coscienza.

Traducendo in senso esoterico il tutto si può dire che rimettere in connessione emozione e espressione, significa riallineare corpo energetico (cioè il ‘corpo sottile di cui parlano tutte le antiche tradizioni iniziatiche) e corpo fisico.

A livello di prassi iniziatica naturalmente lo scopo non più quello di far fluire naturalmente, ‘perviamente’, le energie del corpo sottile all’interno del corpo fisico ma quello di far fluire nel corpo energie di ordine superiore a quelle vitali cioè quelle ‘spirituali’ attraverso la concentrazione sui chakra superiori.

In tal caso il lasciarsi andare ai movimenti spontanei del corpo con un atto interiore d’invocazione, secondo quelle antiche tradizioni, può essere un mezzo valido anche per far entrare la Grazia Divina ( se si vuole usare il linguaggio religioso) nella propria coscienza, per ricongiungersi alla Potenza dell’Uno (se si vuole usare il linguaggio iniziatico/metafisico) da cui tutto deriva ed in cui tutto vive.

E’ ben vero che lo scuotimento è spesso associato a stati inferi della coscienza con l’incorporazione di entità basse (si pensi alle convulsioni stregoniche e medianiche) ma  anche in tal caso l’intento è tutto.

Si entra in contatto con ciò che si evoca (dal ‘basso’) o s’invoca (dall’’alto’).

Il metodo può essere utilizzato semplicemente non per cadere in uno stato psicotico ossessivo o d’invasamento, cioè di ‘caduta’ o ‘perdita’ dell’io, ma per far fluire le energie spirituali del Sé nella propria coscienza, per scoprire la parte divina in noi. Per questo nel latihan si dice che bisogna concentrarsi verso la parte superiore della testa ( a cui in India corrisponde il loto dai mille petali).

Poiché l’energia segue il pensiero concentrarsi lì significa far entrare nel proprio corpo – vale a  dire nella propria coscienza – quel tipo di energia ‘trascendente’ che le corrisponde, capace di operare la catarsi.

 

Aforismi conclusivi:

-Esiste una energia psichica capace di plasmare il corpo.

- Tale  energia è individuale in quanto capace di agire su un singolo corpo ma ‘ontologicamente’ e       ‘strutturalmente’ è solo una parte dell’energia psichica universale.

- Tutti gli esseri viventi sono immersi in un campo universale di energia psichica.

- Tale connessione con la dimensione universale dell’energia rende possibile la sua azione anche al di fuori del singolo corpo (telepatia, telecinesi etc. ).

- L’energia psichica non è una energia ‘meccanica’ ma una ‘forza’ connessa alla coscienza.

- L ’energia è, in vari gradi e in vari modi direzionabile dalla coscienza e potenzialmente quindi   capace di agire sul piano della oggettività e nell’ambito della realtà meccanicistica.

- L’intento, la volontà possono orientare quella energia.

- La facoltà di cui si può servire la coscienza per orientare quella energia è l’immaginazione.

- La bioenergia risponde alla facoltà fantastica ed è mediatrice tra la mente ed il corpo: è collegata ai processi vitali inconsci e dà nel contempo forma e contenuti alla coscienza orientando l’automatismo del pensiero (i desideri, le passioni, gli istinti ‘producono’ i contenuti mentali e per tal motivo il ‘pensiero’ tende ad essere ‘schiavo’ di essi).

- La immaginazione, per operare sul corpo, deve essere ‘attiva’ cioè capace di creare immagini ‘cariche’ di ‘energia’ emozionale e  di significato.

- Attraverso la creatività immaginativa l’immaginato, l’ideale, il soggettivo tende a diventare ‘reale’, ‘oggettivo’, quantificabile’.

- Per tal motivo ciò che si definisce ‘ideale’, ‘astratto’, non è meno ‘reale’ di ciò che definiamo ‘materiale’, ‘concreto’.

- In un’opera creativa è più ‘reale’ l’immaginato che il concretamente prodotto perché questo è solo l’effetto di una causa.

- La creatività dimostra l’esistenza dello ‘spirito’ come ‘sostanza’ o ‘energia’ non meccanicistica e per questo dagli antichi definita ‘sovrannaturale’, laddove ciò che è ‘naturale’ è regolato, invece, da un principio meccanicistico che determina nella ‘dimensione materiale’ ripetitività, prevedibilità dei fenomeni e dunque la possibilità di indicarne le ‘leggi’.

 

DETTI DI PARACELSO

Da F. Hartmann, Il mondo magico di Paracelso, ed. Mediterranee, 1982.

 

“La natura causa e cura le malattie, ed è quindi necessario che il medico conosca i processi della Natura, l’uomo invisibile al pari dell’uomo visibile”.

“Vi è nell’uomo un duplice potere attivo: l’uno che agisce invisibilmente, o potere vitale, e l’altro che agisce visibilmente o forza meccanica. Il corpo visibile ha le sue forze naturali, e il corpo invisibile ha le sue forze naturali egualmente; i rimedi di tutte le malattie o lesioni che possono colpire la forma visibile sono contenuti nel corpo invisibile…”.

“L’Anatomia del Microcosmo è duplice: 1) l’anatomia locale, che insegna la costituzione del corpo fisico, le ossa, i muscoli, i veicoli del sangue ecc.; 2) la più importante anatomia materiale, ossia l’anatomia dell’uomo interiore vivente. Quest’ultima è il più importante genere di anatomia che il medico deve conoscere… Se conosciamo l’anatomia dell’uomo interiore, conosciamo la prima materia, e possiamo vedere la natura delle sue malattie al pari dei rimedi. Ciò che vediamo con gli occhi esterni è l’ultima materia. Dividendo e sezionando il corpo esterno, non possiamo imparare nulla sull’uomo interno e distruggiamo semplicemente l’unità del tutto”.

“Il ciarlatano studia le malattie negli organi colpiti, dove non trova altro che effetti già avvenuti, e non arriverà mai a una fine; perché anche se uccidesse mille persone per studiare questi effetti, rimarrebbe sempre un ignorante per quello che riguarda le cause. Il vero medico studia le cause delle malattie studiando l’uomo universale”.

“Coloro che si limitano a studiare e a trattare gli effetti della malattia sono come persone che si immaginano di poter mandar via l’inverno spazzando la neve sulla soglia della loro porta. Non è la neve che causa l’inverno, ma l’inverno che causa la neve”.

“L’origine delle malattie è nell’uomo e non fuori di esso; ma le influenze esterne agiscono sull’intimo e fanno sviluppare le malattie… Un medico… dovrebbe conoscere l’uomo nella sua interezza e non solo nella sua forma esterna”.

“Un uomo adirato non è adirato solo nella sua testa o nei suoi pugni, ma dappertutto; una persona che ama non ama solo con l’occhio, ma con tutto il suo essere; in breve, tutti gli organi del corpo, e il corpo stesso, sono solo forme-manifestazioni di stati mentali…”.

“La vita che è attiva negli organi è l’anima vegetativa (l’anima animale). E’ un fuoco invisibile (zolfo), che può facilmente divampare in fiamma per il potere dell’immaginazione.

“L’immaginazione può creare la fame e la sete, produrre secrezioni anormali e causare malattie…”.

“…conoscono solo il cadavere dell’uomo, ma non la sua immagine viva quale è presentata dalla natura; sono divenuti falsi e innaturali, e quindi la loro arte è fondata sulle loro fantasie e sulle loro speculazioni che essi credono scienza”.

“Chi vuole conoscere l’uomo deve guardarlo nel suo complesso e non come una struttura messa su alla meglio. Se trova malata una parte del corpo, deve cercare le cause che producono tale malattia e non limitarsi a trattare gli effetti esterni”.