Platone

Platone

Quando l’anima restando in sé sola volge

la sua ricerca, allora si eleva a ciò che è
puro, eterno, immortale

(Platone, Fedone, 79 d)

 

 

 

 

PRESENTAZIONE

Questo sito è un ‘luogo virtuale’ in cui sono accessibili vari studi sul sapere filosofico antico inteso come una via alla realizzazione spirituale.

Esso si propone di presentare le fonti fondamentali dell’Esoterismo occidentale soprattutto quelle connesse alla speculazione filosofica ed in particolare alla tradizione dell’Accademia di Platone.

Questa non solo fu il centro più rinomato del sapere filosofico – scientifico greco ma anche quello che più di tutti mantenne un forte legame con l’esperienza del sacro maturata nell’Ellade sin dall’età arcaica.
Le idee, le esperienze, le intuizioni, le parole attraverso cui i Greci descrissero e tramandarono il loro sapere metafisico sono ancor oggi alla base dell’intera cultura occidentale e possono essere fonte di riflessione proficua anche per l’uomo d’oggi.

Questo sito si propone di fornire un aiuto efficace a quanti vogliano conoscere la tradizione antica della ‘metafisica realizzativa’, ben diversa da quella puramente ‘speculativa’. Mentre questa infatti ritiene di poter conoscere l’Essenza del Reale attraverso meri concetti, quella ‘realizzativa’ invece intende indicare i mezzi attraverso cui l’uomo può fare direttamente, personalmente, esperienza della dimensione spirituale.

Il sito pertanto presenta come proprio peculiare contributo un Corso introduttivo allo studio generale di tale tradizione così come storicamente si è sviluppata in Occidente.

I riferimenti bibliografici consentiranno a ciascuno gli opportuni approfondimenti.

Il Corso è strutturato cronologicamente, attraverso un percorso che dal ‘sapere sacro’ dell’Ellade dell’età arcaica procede sino al neoplatonismo dell’età tardo-antica.

Esso include una prima serie di studi che potranno essere letti separatamente ma si consiglia vivamente una loro lettura progressiva.
L’Associazione culturale ACCADEMIA PLATONICA – CENTRO STUDI FILOSOFICI, di cui il sito è espressione, ha al proprio interno una SCUOLA DI FORMAZIONE CULTURALE che è concepita per aiutare chi lo richieda a percorrere una via di introduzione speculativa ed operativa al Sapere Iniziatico. A tal fine si può scrivere all’Organizzazione all’indirizzo email indicato nella sezione ‘CONTATTI’.

Come introduzione generale ai contenuti del sito si propone il seguente articolo concernente il concetto di Filosofia Perenne.

 

 PHILOSOPHIA PERENNIS

 

  UNA INTRODUZIONE STORICA ALLA TRADIZIONE ESOTERICA

—–

 

 

 

PREMESSA

Dall’alba dei tempi l’Uomo si è posto i grandi interrogativi sull’Esistenza, sulla sua personale origine, sulla sua personale ‘natura’ e su quella del Mondo.

A tali domande tutte le civiltà del mondo antico hanno risposto individuando in un’altra ‘dimensione’, una dimensione non visibile della Realtà, l’origine ed il fondamento di tutto ciò che percepiva sia esteriormente (la Natura sensibile), sia interiormente (la sua stessa Coscienza).

Nel seguire tale ricerca ha elaborato dottrine, vie, metodi ed ha costituito persino istituzioni nel tentativo di aprire una via di accesso a tale dimensione non empirica, definita con termini specifici  quali: ‘spirituale’, ‘sacra’, ‘divina’, ‘metafisica’, ‘sovrannaturale’.

Per poco che si rifletta risulta chiaro che le ‘religioni’ ed i sistemi speculativi ‘metafisici’ sono entrambi frutto dei bisogni connaturati all’essere umano di Conoscenza, di Bene, di Felicità.

Il che non stupisce se si considera che l’Uomo da quando ha sviluppato la propria autoconsapevolezza e la propria facoltà razionale ha compreso e percepito la sua ‘finitezza’, la precarietà della sua condizione esistenziale, la condizione dolorosa con cui doveva quotidianamente confrontarsi.

Ha così tentato di scoprire vie di accesso al Trascendente, al Mistero che è al fondo della Realtà ed elaborato sistemi di credenze anche molto diversi tra loro.

 

Valgono ancora come illuminanti le parole del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer il quale nella sua opera capitale intitolata Il mondo come volontà e rappresentazione (II, 17), pubblicata nel 1818, sostenne che l’uomo ha un bisogno strutturale di Trascendenza, è insomma un ‘animale metafisico’:

 

“Nessun essere – egli scrive – eccetto l’uomo, si stupisce della propria esistenza; per tutti gli animali essa è una cosa che si intuisce per se stessa, nessuno vi fa caso. Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura; perché in essi la volontà e l’intelletto non si sono ancora distaccati abbastanza l’uno dall’altro per potersi, al loro reincontrarsi, stupirsi l’uno dell’altra. Cosí qui l’intero fenomeno aderisce ancora strettamente al tronco della natura, dal quale è germogliato, ed è partecipe dell’inconsapevole onniscienza della grande Madre. Solo dopo che l’intima essenza della natura (la volontà di vivere nella sua oggettivazione) s’è elevata attraverso i due regni degli esseri incoscienti e poi, dopo essere passata, vigorosa ed esultante, attraverso la serie lunga e vasta degli animali, è giunta infine, con la comparsa della ragione, cioè nell’uomo, per la prima volta alla riflessione: allora essa si stupisce delle sue proprie opere e si chiede che cosa essa sia. La sua meraviglia, però, è tanto piú seria, in quanto essa si trova qui per la prima volta coscientemente di fronte alla morte, e, accanto alla caducità di ogni esistenza, le si rivela anche, con maggiore o minore consapevolezza, la vanità di ogni aspirazione. Con questa riflessione e con questo stupore nasce allora, unicamente nell’uomo, il bisogno di una metafisica: egli è dunque un ‘animal metaphysicum’. All’inizio della sua coscienza l’uomo si considera certamente come qualcosa, che si comprende da sé. Questa situazione non dura però a lungo e assai presto, insieme con la prima riflessione, si presenta già quella meraviglia, che un giorno sarà la madre della metafisica”.

Arthur Schopenhauer

Arthur Schopenhauer

 

Se dal punto di vista storico è evidente che gli esseri umani hanno elaborato nel tempo molte e contrastanti dottrine circa la natura e la struttura della dimensione metafisica bisogna rilevare che è esistita (ed esiste ancora) anche una visione ‘sapienziale ed ‘esoterica’ per la quale tutte quelle differenze dottrinali sono solo formali poiché il loro nucleo essenziale è identico, unico nella sostanza, sia in Occidente che in Oriente.

 

 

Storicamente l’espressione Philosophia Perennis venne coniata dal teologo agostiniano Agostino Steuco, autore di un testo intitolato appunto De Perenni Philosophia, pubblicato nel 1540. Egli, rifacendosi soprattutto agli studi di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, sostenne la tesi dell’esistenza di un nucleo comune di verità metafisiche presente (al di là delle diversità ‘formali’) all’interno delle dottrine filosofiche e religiose d’ogni tempo e luogo.

Se il teologo agostiniano ritenne che tale nucleo di verità fosse pienamente espresso solo dal cristianesimo, col passare del tempo il concetto di un Sapere sostanziale unico accessibile alla intera specie umana si  è svincolato da ogni prospettiva confessionale fino ad indicare, attualmente, un Conoscenza Sacra che si pone oltre ogni particolare ‘credo’ o dottrina ‘speculativa’.

 

In realtà tale prospettiva universalistica e sovraconfessionale è antica, tanto remota che si può rintracciarla già nei primi testi religiosi e filosofici giunti sino a noi.

 

Se si studia infatti il percorso umano volto alla ricerca della Verità risulta piuttosto evidente che già nel mondo antico molti ‘saggi’ compresero che al di là delle diversità formali delle varie dottrine ‘metafisiche’ e ‘religiose’ elaborate nei più diversi contesti si potevano indicare alcune verità di fondo, alcuni principi, che sostanzialmente accomunavano tutte le esperienze di natura metafisica.

Dunque, in tale prospettiva, esisteva e ‘doveva’ esistere un Sapere sacro ‘unico’ nella sua Essenza, poiché ‘unico’ è il Mondo ed unica è la Realtà in cui l’Uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi si trova a vivere.

 

Tale conoscenza metaformale dell’Uno (che ha comportato anche lo sviluppo nel tempo di varie ‘tecniche’ atte a sviluppare la capacità umana d’intuizione spirituale) era anche lo scopo delle ricerche metafisiche, ad esempio, dell’India più antica.

Nei più antichi testi religiosi di quella terra, i Veda, scritti a partire dal 1500 a. C., il concetto di una Unità sostanziale suprema esistente al di là delle varie forme ‘divine’ e dei vari ‘culti’ prodotti dalla umana immaginazione è molto chiaro.

Il Rig-Veda, il più antico dei quattro tradizionali, riferendosi ad alcune delle principali divinità del pantheon ariano, afferma infatti: “Indra, Mitra, Varuna, Agni i saggi veggenti così li chiamano: ciò che è Uno lo hanno nominato in vari modi”(RV, I, 164, 46); ed altrove: “Non vi è che un fuoco che si accende nei molteplici mondi; non vi è che un sole che si effonde su tutte le cose; non vi è che un’aurora che irradia tutto questo: veramente l’Uno si è manifestato in tutto questo”(RV, VIII, 58, 2). E sempre nella stessa raccolta di inni si afferma che “l’Uno regge il tutto, ciò che è mobile e ciò che è immobile (RV, III, 54, 8).

 

Per il Rig-Veda, dei e natura, mondo spirituale e mondo materiale, hanno la stessa origine, ogni diversità si risolve agli occhi del veggente in unità, per cui la molteplicità delle forme è solo apparenza illusoria e fuorviante.

 

Per ciò stesso si riteneva che ogni individuo potesse accedere a tale sapere metafisico unitario purché sapesse andare oltre la propria particolare e contingente appartenenza culturale, oltre la sua singolarità ‘egoica’ e l’orizzonte ‘illusorio’ della pura materialità.

Le doti intellettuali, morali e spirituali necessarie per intuire tale verità ‘universale’ rendevano tuttavia tale sapere ‘occulto’ ai più, dunque ‘esoterico’ (cioè ‘riservato’) per sua stessa natura.

Il mondo antico così conobbe una dimensione ‘misterica’ della Conoscenza, l’unica ritenuta capace di dare una piena comprensione anche della struttura non visibile della Realtà.

In tale prospettiva si può dunque comprendere come l’Uomo, nelle diverse culture, abbia usato immagini, simboli, miti, concetti e linguaggi diversi per indicare però la medesima Realtà che di per sé è inaccessibili agli ordinari sensi empirici ed alla ordinaria attività logico-razionale.

Sempre in tale prospettiva si può comprendere come egli abbia sviluppato ed applicato metodi di conoscenza intuitiva anche molto diversi ma tutti convergenti al fine comune di separare la propria coscienza dal mondo ‘materiale’ a cui ordinariamente è collegato attraverso il corpo.

 

Per tal motivo sin dalle epoche più remote sono stati utilizzati anche in Occidente termini ed espressioni diversi, ma identici nella sostanza, per indicare tale forma suprema ed universale della Conoscenza, come, ad esempio, Sophia, Gnosi, Tradizione, Magia, Esoterismo, Misticismo Teosofia ed altri ancora.

 

Questo breve studio sulla Sapienza Antica si limita a proporre una analisi essenziale (con finalità puramente orientative) di taluni concetti e termini con cui la Scienza Sacra è stata designata nel corso della Storia, in particolare di quella occidentale.

 

 

MOLTI SENTIERI PER UN’UNICA VETTA

 

Sulla base di quanto appena detto si può facilmente comprendere come già dal mondo antico è così sorta una divisione tra coloro che si ritennero depositari di un sapere spirituale ‘assoluto’, ‘unico’ e esclusivamente ‘veritativo’ (spesso considerato ‘divinamente rivelato’) ed altri che, più saggiamente, compresero che le vie di accesso all’Assoluto sono solo strumenti di origine ‘umana’ per giungere alla Conoscenza e che per ciò stesso hanno solo un valore ‘relativo’.

 

Nel primo caso l’uomo ha elaborato una concezione ‘esclusivistica’ per cui ‘vera’ e ‘salvifica’ è solo la propria ‘fede’, la propria ‘visione del Mondo’, il proprio ‘sistema di pensiero’, nell’altro caso si è sostenuto, al contrario, che ogni ‘fede’ ogni ‘dottrina’, ogni elaborazione speculativa, possono solo partecipare parzialmente della Verità poiché questa di per sé si pone su un piano ‘sovrastorico’ e ‘sovraformale’, dunque ‘ineffabile’, vale a dire concettualmente non rappresentabile e linguisticamente non esprimibile.

 

Questa ultima posizione che propriamente si può definire come ‘sapienziale’ può essere qualificata anche come ‘inclusivistica’ e consiste sostanzialmente nell’affermare (se si vuole usare un’immagine metaforica tradizionale) che ‘esistono molte vie per giungere all”unica Meta’.

 

Va precisato a tal proposito che il termine ‘inclusivismo’ attualmente viene utilizzato dalla teologia cattolica in una accezione più limitata e fuorviante. Infatti essa indica con quel vocabolo la dottrina secondo cui la propria tradizione religiosa – l’unica considerata di autentica origine ‘soprannaturale’ e per ciò stesso anche l’unica autenticamente ‘salvifica’ – ‘include’ (a livelli differenti) tutto ciò che di vero si possa trovare nelle altre ‘fedi’, le quali avrebbero solo un ruolo provvidenzialmente introduttivo.

 

Dopo che per millenni la Chiesa ha affermato ‘dogmaticamente’ che fuori di essa non c’è salvezza, è questo palesemente un modo più subdolo, equivoco ed elaborato per affermare comunque, in un contesto storico ormai molto mutato, la propria ‘superiorità’ sulle altre confessioni.

 

In tempi moderni la concezione inclusivistica universalistica (ben presente in molte antiche culture spirituali) è stata definita  anche come ‘enotesimo’ (Dio, il Principio Primo è una realtà unica al di là delle forme umane con cui lo si ‘immagini’, sia iconograficamente che concettualmente) il quale è ben diverso, quindi, dal ‘monoteismo’ esclusivistico religioso di natura fideistica a cui corrisponde la credenza in un Dio Persona ‘particolare’ rivelatosi nella storia ad un qualche popolo o profeta ‘eletto’.

 

Nel mondo antico, insomma, alcuni espressero la loro consapevolezza che al fondo di tutte le culture esisteva, al di là delle diversità formali e delle difformi elaborazioni concettuali, un’unico nucleo di verità accessibile solo ad una Sapienza ‘esoterica’  (proprio in quanto riservata ai ‘saggi’ capaci di andare oltre le diversità formali) che ciascun uomo – in quanto tale – può acquisire attraverso la propria personale riflessione ed attraverso esperienze di natura ‘mistica’, cioè ‘sovrarazionale’.

Nell’antico Oriente indiano tale suprema forma di Conoscenza era indicata col termine vidya ed in Grecia col termine sophía o ghnòsis.

 

In effetti il concetto di una Verità religiosa o filosofica ‘partecipata’ e non ‘esclusiva’ fu affermato nell’antico Occidente da numerosi pensatori ed informò di sé quasi tutte le coeve culture spirituali d’Oriente.

Per rimanere all’Occidente basti pensare ad un pensatore degli inizi della speculazione filosofica greca vissuto nel sesto secolo avanti Cristo, Senofane, il quale criticando ogni forma di antropocentrismo, antropomorfismo e particolarismo religioso affermò:

“Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi… i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro… gli Etiopi credono che (gli dei) siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi …ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare… i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi…”. In realtà, “uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza… tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente… senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero… sempre nell’identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.” (Frammenti 14, 15, 16, 23)

 

Tale concetto di un Principio Divino Unico come origine e fondamento dell’intera realtà fu alla base della intera speculazione filosofica greca e variamente indicato come l’Uno, il Bene, il Vero, l’Atto Puro, Pensiero di Pensiero, Motore Immobile, l’Essere, l ‘Illimitato, ponendolo con ciò oltre ogni particolarismo religioso, ancor più se di origine etnica, quale quello ebraico.

 

Tale chiarezza concettuale (che corrisponde ad una lettura filosofico-sapienziale del politeismo formale) è perdurata in Occidente (al di là dell’ingenuo politeismo popolare ‘essoterico’) sino alla violenta eliminazione del ‘paganesimo’ ad opera del cristianesimo, avvenuta soprattutto con le persecuzionescatenate dagli imperatori convertiti alla nuova fede, a partire da Teodosio sino a Giustiniano.

 

Per comprendere più chiaramente tale contrasto tra una dimensione ‘esoterica’ (intrinsecamente universalistica poiché sovraformale) ed una ‘essoterica’ (particolaristica e contingente) dell’esperienza spirituale è utile fare riferimento ad un significativo episodio storico.

 

Proprio nel momento della vittoria della nuova religione venuta dalla Palestina, il prefetto pagano di Roma, Simmaco, opponendosi all’intolleranza del vescovo Ambrogio, il quale affermava che la Verità e la Salvezza sono solo in Cristo e che quindi neanche la statua della Vittoria dovesse essere mantenuta all’interno del Senato, tentò di contrastare tale visione rozzamente esclusivista scrivendo in una lettera del 384 indirizzata all’imperatore Valentiniano II (Relatio de ara Victoriae) delle parole d’antica saggezza:

 

Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti gli uomini contemplano le medesime stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? Non si può giungere ad un Mistero così grande attraverso una sola strada (Non uno itinere potest perveniri ad tam grande Secretum)”.

 

Con ciò ribadì con chiarezza l’essenza enoteistica del sacro sapere ‘pagano’ che era ‘politeista’ solo formalmente ed unicamente a livello essoterico, cioè di devozione popolare.

 

Simmaco ribadiva insomma che la Verità è ‘una’ (né potrebbe essere altrimenti) e che ogni diversità formale (filosofica o teologica che fosse) non può che riferirsi alle modalità particolari con cui la si indica.

In effetti su quel concetto autenticamente universalistico era fondata la tolleranza dell’impero romano esercitata nei confronti di tutti i culti esistenti al suo interno, purché però ne rispettassero l’autorità e le leggi, uniche garanti di una convivenza civile pacifica.

 

Con la vittoria del cristianesimo in tale disputa, ottenuta solo grazie all’appoggio politico dell’imperatore Valentiniano, iniziò di fatto l’oscurantismo cristiano medievale.

 SOPHIA

 

SOPHIA

 

Il termine con cui la cultura greca ha per lo più indicato la forma più elevata della Conoscenza è quello di Sophia.

Con esso si faceva riferimento ad un Sapere che includeva il mondo ‘meta-fisico’, cioè la dimensione ‘invisibile’ della Realtà, quella del ‘sacro’, del ‘divino’, del ‘sovrumano’, del ‘sovrannaturale’, considerata anche come l’origine e l’occulto Fondamento del Cosmo e dell’Uomo.

 

Solo nel sesto secolo avanti Cristo comparve un nuovo termine ‘philosophia‘ con cui, secondo il suo significato etimologico’ s’indicò propriamente l’amore per la sapienza (il verbo philein in quella lingua significa appunto ‘amare’, ‘desiderare’, ‘aspirare’).

E’ evidente, quindi, che l’amore per la Sapienza indicava propriamente solo una fase del processo di ricerca del Vero, quella in cui quella Meta non è stata ancora conseguita poiché si sta solo procedendo verso di essa.

Per giungere effettivamente alla Conoscenza i ‘filosofi’ si convinsero della possibilità e (dal loro punto di vista) della ‘necessità’ di utilizzare il solo strumento della Ragione (logos), accantonando così la via tradizionale di accesso al Sapere metafisico, quella ‘religiosa’, connessa alla facoltà della fantasia, quella del mythos.

Poiché tuttavia si era consci che il sapere ‘divino’ era già stato conseguito per altre vie da straordinari personaggi sin dai tempi arcaici, si continuò ad indicare specificatamente questi detentori del Sapere Sacro come ‘sophoi’, saggi, sapienti o persino ‘teologi’.

Alcuni di questi inoltre venivano anche considerati e definiti come ‘maghi’ poiché si riteneva che in virtù del loro straordinario sapere fossero capaci di compiere quei prodigi che in tutte le tradizioni religiose antiche venivano attribuiti ai maestri della Verità metafisica.

Si riteneva inoltre che quel Sapere fosse conseguito in particolare da chi, all’interno dei culti misterici, fosse formalmente ‘iniziato’ e vi conseguisse il grado supremo della Conoscenza ‘mistica’, indicato nella tradizione eleusina col termine epopteia.

In tale contesto ‘sacrale’ per molti pensatori greci la filo-sofia assumeva insomma il medesimo fine ‘illuminativo’ dei Misteri, era una ‘via iniziatica’ come quelle venerande della Tradizione, solo di tipo diverso da quello arcaico, formalmente ‘rituale’, ‘religioso’ e ‘mitologico’.

 

Il termine ‘filosofia’, quindi, nella sua accezione originaria, stava ad indicare solo un grado preliminare, preparatorio alla vera Conoscenza, alla Sophia e la condizione interiore necessaria per giungervi.

 

 

Dal punto di vista storico  è del tutto evidente che il fondamento della tradizione esoterica occidentale è nella filosofia greca, la quale però, a sua volta, attinse il suo Sapere metafisico non tanto dalla ufficiale e popolare religione ‘olimpica’ quanto piuttosto dai culti misterici e dalle più arcaiche dottrine ‘sciamaniche’ dell’Ellade.

In effetti Socrate e Platone fanno costante riferimento all’orfismo ed la pitagorismo (che consideravano il corpo come la ‘tomba dell’anima’) di cui conservarono i capisaldi:

1)      l’esistenza di un Principio e Fondamento unico (metafisico/sacrale e sovrapersonale) dell’intero Cosmo (indicato con termini equivalenti: tò ón (l’Essere), tò én (l ‘Uno), tò hierón (il Sacro), tò theîon (il Divino) ed in alcuni casi col vocabolo religioso corrispondente: Zèus;

2)      l’esistenza di un’anima immortale (psychè) e di un suo destino oltremondano;

3)      la metempsicosi (metempsýchōsis), cioè il suo passaggio attraverso varie esistenze e vari ‘corpi’;

4)      la possibilità di una sua ‘catarsi’ (kátharsis)  cioè di una sua ‘purificazione’ che la affranchi, attraverso l’esercizio delle virtù ed il desiderio di Conoscenza, dalle ‘catene corporee’;

5)      la possibilità, in tal modo, di conseguire l’illuminazione attraverso il ‘ricordo’ (mnēmosýnē) delle propria vera ‘essenza’;

6)      la possibilità di conseguire per via introspettiva l’estasi unitiva (ékstasis) che consiste nel ricongiungersi al Divino da cui essa ha origine;

7)      la necessità di conquistare tale ‘liberazione’ attraverso una via di trascendenza dalla materia e dalla ragione ‘discorsiva’ (diánoia) sviluppando la capacità d’intuizione metafisica (nóēsis).

 

Sia detto, al momento, solo per inciso, ma è facile notare che tali dottrine metafisiche sono  identiche a quelle coeve dell’Oriente antico ed in particolar modo dell’India.

Per esemplificare: anche in India l’anima (atma) era considerata, nella sua essenza, ‘immortale’ e capace di ascendere al Divino (Brahman) attraverso un percorso ‘interiore’ di ascesi purificatrice (tapas); si riteneva che al culmine di tale processo unitivo (di cui lo yoga è la forma più nota) si conseguisse una condizione ‘illuminativa’ chiamata samadhi consistente nell’ineffabile unione mistica con l’Uno o Assoluto; si riteneva inoltre che in tale stato l’Uomo può ‘ricordare’ la sua ‘vera’ natura e sperimentare la sua ‘consostanzialità’ con Dio (l’atma è ‘identico’ al Brahman). Anche nella tradizione sapienziale indiana tale processo evolutivo avviene però al termine di un ciclo di reincarnazioni (samsara) con cui progressivamente ci si distacca da questo illusorio (maya) mondo ‘materiale’.

 

La finalità metafisico-iniziatica della Filosofia rimase come asse portante della Scuola dell’Accademia fondata ad Atene da Platone che ebbe al suo interno un’insegnamento ‘esoterico’.

Lo stesso pensatore infatti affermò nella celebre Settima Lettera che il suo ‘vero’ insegnamento non era quello dei dialoghi ‘scritti’ imperniati sulla ‘dialettica’ discorsiva ma quello ‘illuminativo’  trasmesso, volutamente, solo per via orale.

In effetti il culmine della Conoscenza per lui non poteva che essere quello concernente il mondo ‘iperuranio’, collocato cioè ‘al di là del cielo visibile’ (vale a dire della realtà materiale), quello delle ‘idee’, quello  delle ‘pure forme’ spirituali.

 

Tuttavia va detto che, storicamente, tale concetto circa la finalità metafisica della ricerca filosofica  subì col tempo alcuni cambiamenti sostanziali.

Infatti si sviluppò già nella stessa Grecia antica un filone di pensiero (sostanzialmente a partire ad Aristotele) che sempre più esplicitamente e programmaticamente reclamò alla ragione ‘discorsiva’ il privilegio unico ed esclusivo di condurre l’Uomo alla Verità e con ciò si fece strada anche l’idea che la Realtà sia solo quella  percepibile attraverso gli organi di senso ‘materiali’.

E’ evidente che tale orientamento razionalitico-positivistico è quello che ha informato di sé l’intera cultura occidentale nei secoli successivi sino a prevalere del tutto nei tempi ‘moderni’.

 

Ciononostante il concetto di una filosofia che si orienti a sviluppare nell’Uomo la capacità di percezione e comprensione del modo metafisico è perdurata sino ai nostri giorni e – bisogna dire – soprattutto grazie alla tradizione speculativa socratico-platonica-plotiniana di cui fu veicolo e custode nel mondo antico proprio la Scuola fondata nel 387 a. C. da Platone, l’Accademia.

Per questo si può considerare fondata la tesi secondo cui proprio con la chiusura di questa ad opera dell’imperatore cristiano Giustiniano, avvenuta nel 529 d.C., si deve considerare finita (e non solo formalmente) la stessa filosofia antica.

 

Essa, di fatto, venne sostituita dalla ‘teologia’ della nuova religione, cioè da una forma di speculazione razionale non più libera poiché comunque vincolata ai dogmi della Rivelazione.

In effetti l’intera filosofia medievale sarà caratterizzata dalla nota formula di san Tommaso d’Aquino, secondo cui la filosofia è (e deve essere) solo ‘serva’ della teologia: philosophia ancilla theologiae, poiché la Ragione ‘umana’ deve sottomettersi alla Fede ‘divina’.

Essa fissa il principio inderogabile per cui la speculazione razionale non può fare a meno o – ancor più – contrastare le ‘verità’ rivelate dai Testi Sacri e custodite dalla Chiesa.

La filosofia intesa come esercizio di libera ricerca del Vero era considerata oltremodo pericolosa poiché capace di suscitare – proprio col suo metodo d’indagine e con la sua reclamata autonomia – dubbi ed incredulità nei riguardi della ‘divina’ Rivelazione.

 

Tuttavia era talmente diffusa ed importante la Sapienza filo-sofica antica misterico-platonica ‘pagana’ che la stessa nuova religione venuta dalla Palestina fu costretta ad utilizzarla – paradossalmente – per ‘costruire’, sin dai primi secoli dell’era ‘cristiana’ la propria ‘teologia’, naturalmente ‘snaturandola’ ed alterandola gravemente per adattarla al proprio ‘credo’.

 

Non ci dovremmo stupire, quindi, se la Sapienza esoterica rinacque progressivamente proprio a partire dal periodo umanistico-rinascimentale italiano quando l’intera cultura antica divenne un modello da imitare  e in particolar modo quando Marsilio Ficino tradusse in latino il Corpus delle opere platoniche e quello dei testi attribuiti al saggio ed iniziato egiziano Ermete Trismegisto.

 

 

Se una concezione pluralistica e liberale della ricerca religiosa e con essa tutto l’insieme di dottrine sapienziali maturate da generazioni e generazioni di fatto dovette occultarsi nell’intero medioevo di fronte ad un dogmatismo ecclesiastico intransigente, non solo ‘oscurantista’ ma anche persecutorio e sanguinario, tuttavia la tradizione ‘pagana’, ‘occulta’, ‘esoterica’ non è andata mai del tutto perduta nello stesso Occidente cristiano.

 

Anche nel medioevo (spesso grazie alla mediazione araba) circolarono non solo (pur se in maniera parziale) i testi filosofici greci e latini, ma anche antichi trattati di ‘scienze esoteriche’ quali l’astrologia, l’alchimia, la magia.

Insieme ad essi si conservarono anche testi di medicina ispirata ai principi ‘olistici’ e ‘vitalistici’ di Ippocrate e Galeno i quali, alla luce della celebre dottrina degli ‘umori’ e della teoria ‘magica’ dell’uomo-microcosmo, vedevano proprio nell’anima il principio di molte malattie ‘fisiche’.

 

Ma solo con l’Umanesimo ed il Rinascimento italiani del Quattrocento e del Cinquecento rinacque (naturalmente in modo ‘graduale’…) l’antica Saggezza e molti pensatori tornarono (più o meno velatamente, per ovvie ragioni contestuali) a sostenere l’idea ‘pagana’ dell’esistenza di una Verità sapienziale ‘occulta’ non legata a contesti etnici e culturali contingenti e, conseguentemente, delle molteplici vie possibili per accedere alla Verità.

 

E’ evidente che in tal modo si riconduceva di fatto la stessa religione cristiana a semplice espressione storica (per ciò stesso limitata ed imperfetta) della ricerca spirituale umana.

Lo stesso concetto di base dell’Umanesimo quattrocentesco e del Rinascimento cinquecentesco, quello della ‘dignità dell’uomo’ (dignitas hominis) ha il proprio fondamento in un principio magico-metafisico ‘pagano’: quello della ‘corrispondenza’ di natura ‘simpatetica’ tra il Microcosmo-Uomo ed il Macrocosmo-Universo.

Il Macrocosmo, infatti, è l’immagine ingrandita di quel Microcosmo che, a sua volta, è solamente la sua immagine concentrata.

Le ‘potenze’ psichiche e spirituali che ‘abitano’ nell’Uomo (“creato da Dio a sua immagine e somiglianza”, secondo la stessa tradizione biblica) sono le stesse che governano l’Universo.

Il senso ‘esoterico’ di questa metafora è che l’Uomo e la Natura sono ‘vincolati’ da profonde leggi di consonanza fisica e psichica e che proprio tale struttura della Realtà consente all’Uomo di agire anche ‘occultamente’ sul Mondo.

E’ insomma proprio l’azione magica che, producendo effetti nel mondo ‘visibile’ con la sola forza della volontà e della immaginazione dell’operatore, dimostra la necessità di superare concettualmente ogni apparente dualità e distinzione tra Microcosmo e Macrocosmo, tra mondo interno e mondo esterno.

L’antica magia viene così considerata anche nel Rinascimento come la parte ‘pratica’ della filosofia, quella che consente all’Uomo di proseguire l’opera creatrice di Dio, essendo capace di modificare la stessa realtà naturale e superare le leggi che la governano con la forza della Coscienza.

Per questo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola proprio citando Ermete Trismegisto (Asclepio VI) dichiarano apertamente che l’Uomo è un ‘grande miracolo’ (miraculum magnum est homo).

 

 

Centrale in tale opera di rinnovamento culturale (che fu, di fatto, una vera e propria ‘rivoluzione’) fu la personalità di Marsilio Ficino, il quale nel 1471, su incarico di Cosimo de’ Medici, tradusse  dal greco al latino l’antico Corpus Hermeticum attribuito al mitico profeta egiziano Ermete Trismegisto.

Quel complesso di testi fu considerato testimonianza di un’antichissima tradizione sapienziale che sotto molteplici forme accomunava nell’evo antico tutti i popoli.

Nella dedica all’illustre rappresentante del casato fiorentino, Marsilio riporta la notizia ciceroniana secondo cui Mercurio (così i latini appellavano il greco  Ermete corrispondente al Toth egiziano) aveva dato “leggi e lettere” al suo popolo ed era considerato “Termaximus” (in greco Trismegisto, cioè ‘tre volte grandissimo’) perché era il più saggio del ‘sacerdoti’, eccelso come ‘filosofo’ ed anche sommo ‘legislatore’.

Nel Corpus Dio era appellato come ‘Padre’ e la sua Potenza rivelatrice (con cui l’iniziato egiziano entra in mistico contatto) come ‘Figlio’ o ‘ Logos’.

I medesimi epiteti con cui i cristiani più tardi si riferirono al dio della Rivelazione abramitica e alla figura storica di Gesù.

Il testo quindi doveva essere ricondotto ad una rivelazione divina antecedente ed indipendente da quella ebraica e cristiana; Ermete avrebbe così avuto per il popolo egizio la medesima funzione avuta da Mosé per quello ebraico.

Visto poi che anche altri popoli del mondo antico avevano antiche rivelazioni riferite a diversi profeti, iniziati o veggenti  non era logico dedurne l’idea che Dio si fosse rivelato a tutti i popoli sin dall’alba dei tempi, comunque anche prima ancora che nascesse Abramo, e che quella ebraica fosse solo una di esse, senza alcuna posizione di privilegio e monopolio esclusivistico?

 

La palese ‘ereticità’ di tale posizione rispetto al principio costitutivo della istituzione ecclesiastica cristiana e della sua dogmatica (che trovava la propria formula nella celebre espressione extra ecclesiam nulla salus) indusse molti ad avanzare tale ‘ipotesi’ con molta cautela e con molte concessioni alla prospettiva ‘ortodossa’, altri invece furono molto espliciti e tra questi vi fu il filosofo Giordano Bruno che pagò molto caramente il suo ‘paganesimo’ universalistico.

 

 

Basta leggere un piccolo brano del testo del Corpus tradotto da Ficino intitolato Pimandro (in greco Poimandres) per rendersi conto delle problematiche appena accennate.

Nell’opera si racconta come Dio si sia manifestato ad Ermete dopo che questi gli chiese come poter ascendere a Lui.

Così quel testo riferisce il mistico dialogo tra Pimandro (l’Intelligenza Suprema) ed Ermete:

 

“L’uomo che ha l’intelligenza – rispose il Dio – conosca sé stesso “.

” Tutti gli uomini – diss’io – non hanno dunque intelligenza? “.

” Parla un po’ meglio! – disse. – Io, l’Intelligenza, assisto i santi, i buoni, i puri, i caritatevoli, coloro che vivono in pietà. Il mio potere è per loro un soccorso e così essi conoscono tutto ed invocano il Padre con amore e gli dedicano le azioni di grazia, benedicendolo, e gli cantano gl’inni con passione, e, prima d’abbandonare il loro corpo alla morte, detestano i sensi di cui conoscono le opere, o piuttosto, io, l’Intelligenza, non lascerei compiere le opere del corpo; come un portinaio io chiuderei la porta alle opere cattive e detestabili, rimovendone i desideri. Ma in quanto agli stolti, ai cattivi, ai viziosi, agli invidiosi, agli avidi, agli assassini ed agli empii, io sono lontano da loro e li abbandono al dèmone vendicatore che versa nei loro sensi un fuoco penetrante, li spinge sempre più verso il male per aggravare la loro pena e, senza posa, eccita le loro passioni con insaziabili desideri e come nemico invisibile, li tortura e ravviva in essi la fiamma inestinguibile “.

” Tu m’hai istruito su tutto – diss’io – come desideravo, o Intelligenza; ma chiariscimi il modo come avviene l’ascensione “.

” Sul principio, – disse Pimandro – nella dissoluzione del corpo materiale, questo consegna sé stesso alla trasformazione; sparisce la forma che tu avevi; il carattere, perdendo la sua forza, è consegnato al dèmone: i sensi tornano alle loro sorgenti e, diventati delle parti, si confondono tra le energie. Le passioni e i desideri rientrano nella natura irrazionale; ciò che resta s’innalza così attraverso l’armonia, abbandonando alla prima zona la facoltà di crescere e decrescere, alla seconda l’industria del male e l’inganno divenuto impotente, alla terza l’illusione ormai incapace di desideri, alla quarta la vanità del comando che non può più essere soddisfatta, alla quinta l’arroganza empia e l’audacia temeraria, alla sesta l’attaccamento alle ricchezze ora senza effetto, alla settima la menzogna insidiosa. E, spogliato così di tutte le opere dell’armonia, giunge all’ottava zona, non avendo più che il suo proprio potere, e canta, con gli esseri, inni in onore del Padre. Quelli che sono colà gioiscono nella sua presenza, ed egli, divenuto simile a loro, ode la voce melodiosa delle potenze che sono al disopra dell’ottava natura e cantano le lodi di Dio. E allora salgono, per ordine, verso il Padre e s’abbandonano alle potenze e, divenuti tali, nascono in Dio. Questo è il bene finale di quelli che posseggono la Gnosi: divenir Dio. E tu che aspetti? Perché, avendo tu saputo tutto, non mostri la via agli uomini affinchè, per tuo mezzo, il genere umano sia salvato da Dio? “.

Il messaggio spirituale di Pimandro, cioè dell’Assoluto o Padre universale, è del tutto chiaro: solo l’Uomo che libera la sua coscienza dai vincoli della materia e dalle passioni che la oscurano può scoprire la sua natura ‘divina’, può scoprire il nous, cioè lo spirito trascendente in sé e ricollegarsi così al Nous divino, al Logos, al Verbo di Dio.

Le straordinarie ed innegabili consonanze tra la rivelazione di Dio ad un iniziato ‘pagano’ (quale era Ermete) e quella cristiana (basti pensare all’inizio del Vangelo di Giovanni che identifica il Logos con la figura storica di Gesù) non potevano, alla luce delle conoscenze di quel tempo, che avere una spiegazione.

Il sacerdote-mago-iniziato, secondo Ficino, doveva essere considerato cronologicamente il primo depositario  di una divina Rivelazione (culminata nel Cristianesimo), contemporanea o antecedente quella di Mosè, donata da Dio al popolo egizio (indipendente dunque da quella del popolo d’Israele da cui è sorto il cristianesimo…) la quale per ciò stesso era il fondamento di una prisca theologia antecedente o coeva a quella del ‘popolo eletto’.

Egli si convinse che lungo una precisa linea storica quella Saggezza rivelata sia giunta sino al ‘divino’ Platone e dunque alla tradizione filosofica greca, la quale, a sua volta, è alla base della teologia cristiana.

Infatti così scrive nella dedica dell’opera da lui tradotta riferendosi ad Ermete:

Egli è detto il primo autore di teologia: gli successe Orfeo, secondo fra i teologi dell’antichità; Aglaofemo, che era stato iniziato all’insegnamento sacro di Orfeo, ebbe come successore in teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, il maestro del nostro divino Platone. C’è quindi una teologia antica (prisca theologia)…che ha la sua origine in Mercurio e culmina nel divino Platone”.

 

Ficino ben sapeva che proprio la filosofia di Platone  è il fondamento di tutta la teologia cristiana e quindi di tutta la sua dogmatica (egli stesso scrisse un’opera intitolata ‘Teologia platonica sull’immortalità degli animi’ – Theologia platonica de immortalitate animorum).

Anche se lo studioso tese ad interpretare tale consonanza in un’ottica ‘ortodossa’ proprio le sue traduzioni ponevano delle domande molto chiare e radicali a cui i secoli successivi tentarono di dare una risposta sempre più articolata e storicamente fondata.

 

La domanda implicita era la seguente: Dio si era già rivelato ad altri popoli ad altre culture prima ancora del Patto con Israele ed indipendentemente da questo?

Era possibile allora la salvezza dell’anima prima ancora della morte redentrice del Cristo che secondo la dottrina cristiana ha cancellato il peccato originale?

Non era palese – proprio attraverso la lettura del Corpus - che Dio aveva dato accesso alla Verità tramite saggi iniziati dei più diversi popoli della Terra esattamente come in Egitto aveva fatto attraverso Ermete?

Non si sarebbe allora dovuto ammettere l’esistenza di una Scienza Sacra ‘eterna’ (quindi di una Filosofia o Sofia perenne) di cui le molteplici e contrastanti religioni sarebbero non altro che forme parziali, imperfette e contingenti?

 

Le ipotesi però potevano essere diverse e persino opposte tra loro: la straordinaria ed incontestabile consonanza dottrinale poteva essere la prova di un disegno providenziale finalizzato a predisporre l’umanità alla ‘vera’ Rivelazione cristiana e con ciò si poteva intendere il fatto in un’ottica ‘ortodossa’ (e fu questa la ‘lettura’ di Ficino), ma, diversamente (molto diversamente) si poteva ipotizzare l’esistenza di un autentico sapere ‘sacro’ pre-cristiano alimentato da autentiche esperienze iniziatiche di mistica estatica; in tal caso lo stesso cristianesimo non sarebbe stato altro che una religione come tutte le altre, una forma storica contingente, e Gesù un ‘profeta’ come tanti altri prima e dopo di lui.

Tale seconda ipotesi (quella che la Chiesa storicamente giudicò come ‘ereticale’) sarà quella abbracciata coerentemente, lucidamente e coraggiosamente da Giordano Bruno.

 

Solo in epoca successiva (esattamente nel 1640 col filologo Casaubon) ci si è reso conto che il Corpus Hermeticum risaliva in realtà ad epoca più tarda (intorno al II secolo dopo Cristo) ma Ficino aveva ben intuito che la rivelazione cristiana non era nella sostanza così nuova, unica ed eccezionale (l’unica veramente ‘sovrannaturale’) come si affermava confessionalmente.

Oltre l’Egitto anche l’India, la Persia, la Caldea, la Grecia erano luoghi in cui ad esempio, l’esperienza religiosa s’era conformata positivamente, come dimostravano anche altre opere quali gli Oracoli caldaici e gli Inni orfici.

Per non parlare poi della tradizione filosofica greca capace di elaborare anche dottrine sottili circa la natura del divino.

 

Ficino, tuttavia, rimase nell’ambito dell’ortodossia interpretando la tradizione ermetica come profetica e provvidenziale anticipazione del messaggio di Gesù.

Il suo ideale fu quello di ricongiungere la filosofia e la religione riproducendo una condizione di sintonia tra speculazione razionale ed esperienza religiosa che era stato la principale caratteristica della ‘teologia platonica’: in tal modo la filosofia avrebbe ritrovato, a suo parere, la sua originaria finalità religiosa, sarebbe stata una pia philosophia, e la religione si sarebbe innalzata a docta religio, elevandosi oltre il piano volgare della superstizione e del fanatismo.

Per Ficino solo col platonismo speculativo il cristianesimo avrebbe trovato un saldo fondamento ‘razionale’ alla Rivelazione.

 

Al di là dell’errata attribuzione cronologica del Corpus questo ebbe però un impatto radicale sull’intera cultura occidentale poiché ripropose, di fatto,  un problema antico e mai risolto dalla dottrina cristiana: quello del suo rapporto con le altre religioni, in particolare con quelle ‘rivelate’.

 

 

Per numerosi studiosi e pensatori del Rinascimento italiano risultava ormai chiaro un concetto: la storia stessa attestava incontestabilmente che, ancor prima della rivelazione mosaica e dell’annuncio evangelico di Gesù, l’Uomo aveva avuto esperienza diretta di Dio (o almeno così riteneva); ma ciò implicava una conseguenza del tutto inammissibile dalla ‘ortodossia’: la possibile salvezza delle anime prima ancora che il sacrificio del Cristo togliesse all’umanità il peccato di Adamo.

La lettura salvifico-universalistica della morte di Cristo ne rimaneva del tutto compromessa.

 

Questa problematica storica e dottrinale continuò ad affascinare i dotti anche oltre il periodo ‘umanistico’ del Quattrocento.

Nell’intero Rinascimento del Cinquecento la filosofia neoplatonica (che ha il suo Maestro in Plotino) s’intreccia infatti con tradizioni pitagoriche, ermetiche, cabalistiche, alchemiche, magiche.

Come dimostrava soprattutto il testo intitolato Asclepius, già tradotto in latino dal platonico Apuleio (o almeno così allora si riteneva), Ermete era anche un potente ‘mago’.

Fu così che col termine ‘magia’ si ritornò ad indicare non solo una forma di attività psichica occulta collegabile a forze ‘demoniache’ ma anche un Saper Sacro già molto diffuso in tutto il mondo antico.

 Marsilio Ficino

Marsilio Ficino

 

 

MAGIA

Il termine ‘magia’ deriva da una radice proto-indoeuropea: māgh- connessa al concetto di ‘potere’ e ‘abilità’. In particolare nell’antica Persia ‘magi’ (o ‘maghi’) erano gli appartenenti ad una celebre casta sacerdotale per cui il ‘potere’ che ad essi si riferiva era quello ‘sacrale’, ‘sovrannaturale’ che si manifestava con la capacità di operare miracoli e prodigi oltre che con il diretto possesso di facoltà psichiche straordinarie.

Per tal motivo il termine greco mághos e quello latino magus finirono per indicare non solo un appartenente alla casta sacerdotale persiana ma anche, più estensivamente, qualsiasi persona che si dimostrasse  dotata di un sapere ed un potere occulto

 

Il fatto che la ‘magia’  sia presente in tutte le culture umane d’ogni tempo e luogo ha, nell’ottica del pensiero tradizionalista, un preciso motivo ed un chiaro significato.

Infatti il concetto di una ‘realtà psichica’ che occultamente è posta a fondamento dell’intero universo e che a questa debba riferirsi l’esistenza di enti e forze invisibili è parte integrante della Filosofia Perenne e dell’esperienza umana in generale.

Per questo motivo nelle sua accezione più ‘alta’ essa, a volte, è stata identificata con la ‘Sapienza Sacra’ stessa.

 

Col termine ‘magia’ si è storicamente indicata, in particolare, una tecnica finalizzata al ‘diretto’ dominio della realtà ‘naturale’ da parte dell’Uomo attraverso l’utilizzazione di forze ‘occulte’ poste in atto da un ‘operatore’ con la volontà, con l’immaginazione e con l’evocazione/invocazione di enti appartenenti al mondo ‘metafisico’.

Essa  si avvale di gesti, formule, riti solitamente fissati dalla tradizione.

Nel caso in cui tali poteri occulti siano finalizzati al Bene essa solitamente viene appellata come ‘bianca’, nel caso opposto come ‘nera’.

 

 

La diffusione universale della ‘magia’ ha suscitato da sempre negli studiosi delle considerazioni opposte: da una lato la si è vista come una mera superstizione, una impostura tipica di un mondo pre-scientifico, dall’altro come un modo con cui delle dottrine tradizionali esoteriche (fondate su di una effettiva conoscenza metaempirica della Realtà) si sono strutturate e diffuse continuativamente nel tempo.

E’ comunque inoppugnabile il fatto che l’idea  di fondo della ‘magia’, vale a dire: la sua ‘dottrina’ essenziale, corrisponde ad una convinzione antica quanto l’uomo.

Questa corrisponde alla tesi della Tradizione che sostiene non solo l’esistenza di una pluralità di dimensioni della Realtà ma anche la possibilità per gli esseri umani di estendere le proprie capacità di conoscenza e di azione al di là del mondo ‘materiale’.

 

Nell’antica Grecia l’interesse per la magia si accrebbe in età ellenistica proprio a causa del diretto contatto tra la cultura occidentale e quella orientale conseguente al formarsi dell’impero di Alessandro Magno.

Prova ne è il gran numero di scritti di quell’età spesso attribuiti ad antichi sapienti o a divine rivelazioni oracolari.

E’ il caso della serie di opere che vennero riferite ad Ermete Trismegisto, comprendenti scritti di magia, di alchimia, di astrologia.

Il tratto comune ad essi è la credenza che il cosmo sia un tutto unitario pervaso da forze spirituali e dominato da leggi occulte.

L’Uomo veniva considerato al centro di questo mondo e capace di scoprire le nascoste corrispondenze che legano l’uno all’altro ogni ente del mondo visibile e di quello invisibile secondo una Legge di ‘simpatia’, vale a dire di ‘interconnessione’.

E’ in virtù di tale Legge che gli esseri umani possono entrare in diretto contatto con gli enti e le forze che compenetrano il Cosmo e persino dominarle, ponendole così al proprio servizio.

In tal senso fu proprio un filosofo neoplatonico, Giamblico (vissuto circa tra il 250 ed il 330 d.C.), a considerare la Magia come la Scienza Suprema.

 

Storicamente la magia antica del mondo pre-cristiano continuò ad esistere anche nel pieno del Medioevo, nonostante i ripetuti sforzi della Chiesa di eliminarla, considerandola un veicolo del Demonio.

 

Quando, per contingenti evoluzioni storiche, la cultura italiana del Quattrocento e del Cinquecento poté di nuovo accedere a fondamentali testi sapienziali greci e latini e studiarli in un clima di maggiore libertà, la magia ritornò ad interessare il mondo dei dotti.

 

Con la traduzione del Corpus Hermeticum (Libri di Ermete) ad opera di Marsilio Ficino del 1463 essa venne rivalutata e persino identificata con una ancestrale dottrina sapienziale su Dio, la prisca theologia, o quantomeno con la parte ‘operativa’ di essa.

Ermete è considerato il prototipo del potente iniziato-mago egiziano che sa esercitare un proprio potere nel dominio dell’invisibile sino a poter elevare la propria coscienza verso le ‘sfere celesti’.

Del resto non era proprio l’Egitto ad essere considerato nell’antichità la terra per eccellenza della conoscenza magica?

Non era proprio la Magia a dimostrare l’origine ‘divina’ e quindi la potenza ‘creatrice’ dello spirito umano?

Il compendio più significativo di tale antico sapere nell’epoca rinascimentale fu il De occulta philosophia di Cornelio Agrippa di Netteshein che definì la magia “ la scienza perfetta” ma anche altri studiosi la riportarono in auge come Giovanni Battista Della Porta, Tommaso Campanella, Paracelso e, più grande di tutti, lo stesso Giordano Bruno, autore di un’opera intitolata appunto De magia.

Per il filosofo nolano con questo termine si doveva intendere sia la capacità umana di cogliere speculativamente il processo universale con cui l’Uno  si manifesta nella dimensione materiale del Molteplice, sia quella di effettuare iniziaticamente il percorso contrario: dalla Natura all’Uno attraverso l’estasi.

A tale suprema condizione dello spirito l’Uomo può giungere sublimando platonicamente la forza occulta dell’eros (quello che lui definisce eroico furore).

Dal punto di vista ‘pratico’ per Bruno la magia è però anche una scienza di trasformazione con cui ogni individuo potenzialmente può direttamente dominare con la sua volontà gli Elementi naturali.

Per Bruno la Magia è la stessa Scienza Sacra così come dai tempi più antichi è stata formulata e tramandata dagli uomini di tutte le culture e civiltà. Infatti nella Introduzione dell’opera ad essa dedicata, specificando i diversi significati che si possono riferire a quel termine egli ricorda che:

 

Col termine ‘mago’ si indica in primo luogo il Sapiente, alla cui categoria  appartenevano Trismegisto tra gli Egizi, i Druidi tra i Galli, i Gymnosofisti presso gli Indi, i Cabalisti presso gli Ebrei, i Magi presso i Persiani (che s’ispirano a Zoroastro), i Saggi (Sophi) presso i Greci, i Sapienti presso i Latini”.

 

E’ opportuno ricordare, storicamente, che uno dei capi d’imputazione formulati dalla Santa Inquisizione cattolica nel celebre processo intentato contro di lui, basato sulla testimonianza di Giovanni Mocenigo, affermava appunto che il filosofo nolano aveva privatamente sostenuto in modo esplicito che anche Gesù non era per lui nient’altro che un ‘mago’.

In qualche modo, la morte di Bruno sul rogo avvenuta a Roma a Campo dei Fiori il 17 febbraio del 1600, all’alba di un nuovo secolo, ebbe anche un valore simbolico: si può dire da allora iniziò a scomparire in Occidente la ‘tradizionale’ visione ‘magico-vitalistica’ della Natura e dell’Uomo, sostituita progressivamente da una  ‘materialistica-meccanicistica’, radicalmente ‘razionalistica’, quella da cui ha avuto origine il cosiddetto ‘mondo moderno’.

 

Il credito della Magia come ‘scienza’ scomparve nell’Occidente proprio lungo il Seicento con il comparire e l’affermarsi del sapere ‘scientifico’ che vedeva il mondo ‘sensibile’ (considerato come l’unico esistente) dominato dalle leggi ‘fisse’, cioè ‘inviolabili’, stabilite dalla matematica e dalla fisica.

 

La data d’inizio della cosiddetta ‘rivoluzione scientifica’ è posta dagli storici nell’anno 1543, quando l’astronomo polacco Niccolò Copernico pubblicò la celebre opera intitolata Le rivoluzioni degli astri celesti con cui confutò il sistema geocentrico aristotelico-tolemaico-biblico sostituendolo con quello eliocentrico; la data conclusiva è posta invece nel 1687, anno in cui lo scienziato inglese Isaac Newton pubblicò i Principi matematici della filosofia naturale.

Fu all’interno di tale periodo che il pisano Galileo Galilei (la sua opera Dialogo sui due massimi sistemi del mondo è del 1632) elaborò il ‘metodo scientifico’ che ha costituito non solo il fondamento di ogni procedura di ricerca ‘razionale’ circa la intima struttura della Natura (secondo lui “scritta da Dio in lingua matematica”), ma anche di una intera cultura e civiltà.

L’idea di un sapere ‘oggettivo’, costruito su base meramente ‘empirica’, verificato con rigorose procedure logiche, sottoposto alla ‘ripetibilità’ pose al margine, in modo sempre più radicale, l’antica tradizione ‘magica’, secondo la quale, invece, non esistono nella realtà Leggi di valore assoluto, poiché la coscienza umana (e anche non umana) le può (anche se solo in particolari circostanze)  sospendere e persino modificare.

 

Tuttavia la rinascita del sapere occulto antico realizzatasi nel periodo rinascimentale ha continuato ad avere storicamente rilevantissime conseguenze nella storia della cultura occidentale.

Il sapere ‘magico’ ha in qualche modo continuato ad esistere anche oltre il Seicento.

Si pensi, per fare un esempio, al celebre medico-mago tedesco Franz Anton Mesmer (1736-1815) che operando prodigiose guarigioni affermava di poterlo fare grazie ad un fluido vitale universale (una vera e propia ‘sostanza psichica’) che era in grado di ‘canalizzare’ dopo aver posto i suoi pazienti in una condizione ‘ipnotica’; si consideri il fatto che l’arte della ‘fascinazione’ era parte essenziale della tradizione magica di tutti i popoli antichi.

Egli, tentando di dare una veste scientifica al suo operare riportava in auge il concetto ‘occulto’ di una forza sottile animica, di un’energia invisibile che opera sul piano ‘psichico’ così come il magnete su quello materiale e dunque tutta la fenomenologia collegata venne da lui riferita all’esistenza di un ‘magnetismo animale’ capace di spiegare (in qualche modo ‘scientificamente’) tutta la tradizione ‘miracolistica’ del contesto religioso sulla base del potere occulto della suggestione immaginativa.

Fu Mesmer a dare inizio a tutta una serie di studi ‘sperimentali’ che condussero nell’Ottocento il medico francese Jean Martin Charcot (1825-1893) a studiare l’applicazioni di quella tecnica ‘sonnambolica’ a casi di nevrosi dandone pubblica ed eclatante dimostrazione.

Allievo di Charcot fu anche Sigmund Freud, il fondatore della psicanalisi, introdotto a quella scienza ‘magica’ (e – secondo l’opinione del tempo – della peggiore specie di magia, quella ‘nera’…) dal suo amico e mentore, il dottor Josef Breuer.

Utilizzando l’ipnosi Breuer e Freud compirono studi fondamentali sulle malattie nervose che approdarono alla pubblicazione nel 1892 di un celebre testo firmato da entrambi: Saggi sull’isteria.

Molti già allora alcuni notarono che il medico viennese (di quella città quindi ove si era laureato in medicina e filosofia – guarda caso – lo stesso Mesmer) in fin dei conti – non faceva altro (volendo usare l’antico linguaggio magico) che ‘evocare’ dall’inconscio dei suoi pazienti, i ‘demoni’ perturbatori per poi esorcizzarli facendoli uscire dal corpo malato, spesso con drammatiche abreazioni convulsive…

Non facevano altrettanto, utilizzando proprie tecniche di suggestione, anche gli antichi ‘maghi’ esorcisti e guaritori?

Anche se Freud progressivamente abbandonò quella tecnica, molti altri dopo di lui continuarono ad utilizzarla sino ai nostri giorni con oggettivo profitto ed efficacia, sino alle moderne applicazioni perfino nel campo dell’anestesia chirugica.

Va ricordato che da tale filone di studi basato su quelle antichissime conoscenze è sorta la moderna medicina psicosomatica.

Nihil novi sub sole: lo sciamano greco Zalmoxis, secondo la testimonianza di Platone nel Carmide, già intorno al sesto secolo avanti Cristo aveva detto che le malattie nascono dai turbamenti dell’anima e che per questo motivo se si cura lo spirito (anche con le suggestioni degli incantesimi magici)  i mali del corpo s’eclissano…

 

Non è quindi un caso se oltre il concetto di un sapere ‘operativo’ magico ancestrale anche quello di una corrispondente philosophia perennis sia comparso (nella sostanza: ri-comparso) in Occidente con grandi personalità della cultura italiana del Ri-nascimento, nel contesto di una cultura ‘neo-pagana’ che chiaramente voleva ritornare all’elevatezza intellettuale (non solo estetico-letteria e storico-scientifica ma anche e soprattutto ‘spirituale’) del mondo antico greco-romano.

 

 

 

 Giordano Bruno

 

Giordano Bruno

 

 

PHILOSOPHIA PERENNIS

 

Se, come si è visto, col termine ‘magia’ per molti secoli si è fatto riferimento al concetto di un arcaico sapere occulto universale, e con quello di prisca theologia se ne è voluta indicare la teoria concernente la natura stessa di Dio e dell’esperienza religiosa umana, gli storici contemporanei hanno scoperto che la particolare e specifica espressione Philosophia Perennis è stata usata in realtà per la prima volta nel secolo XVI dal monaco agostiniano Agostino Steuco, fortemente influenzato proprio da Marsilio Ficino.

In un testo intitolato De perenni philosophia libri X pubblicato nel 1540 Agostino sostenne che le antiche dottrine dei saggi, poeti e filosofi come Orfeo, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plotino ed altri erano in armonia con la sostanza del messaggio cristiano ed in qualche modo lo ‘prefiguravano’.

 

In effetti già nel Quattrocento alcuni pensatori ‘illuminati’, nell’ambito dello stesso cristianesimo, cominciarono, sull’istanza di una prospettiva religiosa ‘unitaria’, a porre con forza il problema del recupero dell’antica loro fede tentando così di dare ad essa un valore pienamente universalistico, essendo quella ad essi coeva totalmente snaturata dalle differenze rituali e dalle più astruse formulazioni dogmatiche.

Tale orientamento (che consisteva sostanzialmente nell’individuare nel cristianesinmo la vera e completa forma della filosofia perenne) ispirò le opere, ad esempio, Niccolò Cusano che compose nel 1453 il  De pace fidei e di Erasmo da Rotterdam che scrisse analogamente nel 1502 l’Enchiridion.

Essi ritenevano valida la formula ‘una Fides in varietate rituum’ (una sola Fede nella varietà dei riti) sostenedo che proprio le rigidità delle formulazioni dogmatiche e la obbligatorietà delle prassi rituali avevano finito per inaridire lo spontaneo sentimento religioso e provocato lacerazioni gravissime nel seno della comunità cristiana.

Essi si spinsero ad affermare persino la necessità di ricondurre ad unità le tre religioni abramitiche (ed altre ancora) attraverso un’opera di riduzione all’essenziale del messaggio religioso cristiano.

Tale purificazione ‘intellettuale’ (coincidente con un ritorno alla semplicità ed essenzialità del primitivo evangelo) avrebbe dovuto essere la condizione per una spontanea conversione di tutti i popoli alla religione ‘autentica’ di Gesù (quella ‘originaria’, variamente deformata nel tempo dalla teologia dogmatica della istituzione ecclesiastica).

 

Le lotte fratricide tra cattolici e protestanti che insanguinarono l’intera Europa dopo la ribellione di Lutero del 1517 non fecero altro che stimolare quel dibattito intellettuale ad ulteriori approfondimenti ed evoluzioni.

La domanda che si posero i ‘sapienti’ (considerando soprattutto gli insanabili contrasti teologici e le conseguenti violenze sanguinarie che devastavano l’intera Europa) fu sempre la stessa: “Qual è allora la religione ‘vera’, quella che le religioni ‘positive’, cioè ‘storiche’, possono solo adombrare?”

 

La risposta della cultura filosofica occidentale giunse sempre più chiara e radicale: l’unica concettualmente possibile è quella ‘naturale’ insita nella coscienza di ciascun uomo di qualsiasi tempo e luogo e che prescinde per ciò stesso da qualsiasi rivelazione storica o formulazione dogmatica.

In tal senso – è evidente – neanche il cristianesimo poteva vantare una propria di superiorità su tutte le altre confessioni e, conseguentemente, reclamare diritti e privilegi particolari.

 

Già nel Cinquecento Jean Bodin, filosofo e giurista francese (1528-1596) sarà molto esplicito: nella sua opera intitolata Colloquium heptaplomeres uno dei personaggi dialoganti, Toralba, afferma che se la ‘vera religione’ consiste nel ‘puro culto di Dio eterno’, bisogna ritenere che la legge di natura sia sufficiente alla salvezza degli uomini e che per questo motivo l’unica religione ‘vera’ è quella ‘naturale’ iscritta nelle menti e nel cuore di tutti gli esseri umani.

 

 

Non è quindi un caso che nel contesto di un tale fervido dibattito intellettuale l’espressione Philosophia Perennis di origine rinascimentale venne ripresa poco dopo, nel Seicento, dal filosofo illuminista tedesco Gotfrid Leibniz (1646-1716) per indicare appunto la filosofia ‘eterna’ comune a tutte le religioni al di là delle diversità confessionali e dogmatiche. Egli individuò nell’esperienza mistica e nella dimensione contemplativa dell’esperienza religiosa il nucleo comune a tutte le fedi.

Coerentemente con tale concetto egli, in effetti, si adoperò per condurre in porto una riconciliazione tra le varie confessioni religiose cristiane del suo tempo ma il suo tentativo non diede i frutti sperati.

 

Fu questa però la base ‘idelogica’ non solo del deismo filosofico ma anche della teosofia ‘occultistica’ massonica del Settecento e dell’Ottocento.

 

In tal modo si è riaperto in Occidente, poco a poco, un varco al pieno ritorno di una spiritualità universalistica, non più confessionale, che superasse l’esclusivismo cristiano ed in particolare quello più intransigente e ‘politicamente’ più pericoloso, quello cattolico.

Per questo motivo la storia dell’inclusivismo universalistico coincide in Occidente con l’affermarsi del concetto di ‘tolleranza’ e di ‘laicità’.

Nello sviluppo storico del mondo occidentale ebbe effetti rivoluzionari, sino a creare le condizioni intellettuali che hanno determinato la nascita del mondo moderno.

 

In tempi più recenti la formula ‘Filosofia perenne‘ è diventata molto nota soprattutto a partire dalla pubblicazione nel 1945 del libro dello scrittore britannico Aldous Huxley intitolato appunto The Perennial Philosophy.

Aldous Huxley nell’opera afferma:

“La Philosophia Perennis è una metafisica che riconosce una Realtà divina consostanziale al mondo delle cose, della vita e delle menti: è una psicologia che scopre nell’anima qualcosa di simile alla Realtà divina o addirittura di identico ad essa; è un’etica che assegna all’uomo come fine ultimo la conoscenza del Fondamento immanente e trascendente di tutto ciò che è. Si possono trovare rudimenti di questa Filosofia Perenne nelle dottrine tradizionali dei popoli primitivi in ogni regione del mondo, mentre nelle sue forme compiutamente sviluppate essa trova posto in ognuna delle religioni più elevate”.[1]

Tale opera ha dato origine ad una corrente di pensiero contemporanea che si autodefinisce ‘perennialismo’

 

 Aldous Huxley

Aldous Huxley

 

 

GNOSI

 

Un altro termine che spesso viene utilizzato ancor oggi per indicare il concetto di una Sapienza sacra perenne di natura metafisica e non fideistico-religiosa è quello di Gnosi.

Questo termine deriva dal greco ghnòsis che significa appunto ‘Conoscenza’.

Naturalmente nel contesto religioso e sapienziale si fa riferimento alla Conoscenza di natura metafisica, quella che concerne il mondo ‘divino’, la dimensione ‘sovrannaturale’.

Secondo tale accezione esso venne usato già nel mondo antico per connotare in particolare una corrente del pensiero filosofico-religioso comparsa intorno al I e II secolo dopo Cristo denominata appunto come gnosticismo.

Gli studi degli storici sviluppatisi soprattutto a partire dall’Ottocento hanno dimostrato come questo non fu solo un’eresia formatasi all’interno del cristianesimo delle origini (come per molto tempo si è ritenuto) ma anche e soprattutto una corrente di pensiero, le cui origini sono antecedenti la comparsa della nuova religione.

Essa fu diffusa in tutto l’Oriente e fu frutto del sommarsi sincretistico di diverse tradizioni religiose e speculative (mesopotamiche, persiane, egiziane, greche, ebraiche).

Per tal motivo è esistito uno gnosticismo ‘cristiano’ così come è esistito uno gnosticismo ‘pagano’, legato questo anche alla tradizione antica dei culti misterici greci ed alla stessa filosofia ellenica.

 

L’idea di base della ‘gnosi’ è che solo attraverso un atto di Conoscenza ‘diretto’ e ‘personale’ del mondo metafisico l’Uomo può sfuggire alla dimensione della Materia e del Male che è propria del nostro Mondo.

Poiché inoltre l’essere umano ha in sé, dalla nascita, il principio ed il fondamento di tale Conoscenza, in quanto ente ‘cosciente’, non è necessaria per la Salvezza dell’anima nessuna istituzione ‘storica’.

La teoria fondamentale della gnosi è quella del dualismo, sia cosmologico (che vede contrapporsi un principio del Bene a quello del Male), sia antropologico (la contrapposizione corrispondente tra l’anima ed il corpo).

Se molti studiosi hanno visto in tale dottrina un influsso della dottrina religiosa tradizionale persiana (mazdeismo, manicheismo) va notato però che questa impostazione dualistica era ben presente anche nella religione e nella filosofia greca (si pensi all’orfismo che vede nel corpo la ‘tomba’ dell’anima ed alla dottrina filosofica platonica corrispondente che compare nettamente nel dialogo intitolato Fedone).

E’ pertanto evidente che compare in diversi contesti e con diverse formulazioni la medesima dottrina sapienziale iniziatica.

Questa non è definibile però semplicemente come ‘pessimistica’ perché sostiene anche che l’essere umano ha in sé una ‘scintilla divina’ oscurata dalla carne/materia in modo non irreversibile.  Attraverso un processo catartico di ‘rinascita’ interiore (sostenuto dal desiderio di Conoscenza e di Bene) la coscienza di ogni individuo può sempre realizzare un processo di ascesa metafisica (la via del ‘ritorno all’Uno’ di cui parla Plotino) culminante in una ‘illuminazione’ estatica (quella  che nei culti misterici eleusini veniva indicata col termine epopteia).

 

Il rinvenimento di alcuni testi cristiani ‘gnostici’ in Egitto, avvenuta nella località di Nag Hammadi nel 1945, ha dimostrato inoppugnabilmente che sin dal primo formarsi della dottrina cristiana venne elaborata all’interno della nuova comunità una ‘lettura gnostica’ del Vangelo e della stessa figura del Gesù ‘Salvatore’.

E’ molto significativo che in uno dei ‘vangeli gnostici’ (definiti anche come ‘apocrifi’, ma il termine va inteso correttamente nel senso di ‘nascosti’, ‘occulti’ e non in quello di ‘falsi’, come invece ha fatto la istituzione ecclesiatica), quello di Tommaso, Gesù espone una sua dottrina ‘segreta’ ed invita i suoi seguaci a cercare il Regno di Dio in loro attraverso un processo di autoconoscenza, tipico della tradizione esoterica e sapienziale greca, in particolare di quella eleusina e delfica (si ricordi il motto scritto nel frontone del tempio di Apollo: ‘Conosci te stesso’).

Egli infatti afferma:

 

Il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi. Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete che siete figli del Padre Vivente. Ma se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete voi stessi privazione”.

 

E poi aggiunge:

 

Colui che conosce tutto, ma ignora se stesso, è privo di ogni cosa”.

 

Solo con la vittoria del cristianesimo di tipo ‘paolino’, divenuto quindi quello ‘ufficiale’ ed ‘ortodosso’, ecclesiastico ed istituzionale, la coeva tradizione ed interpretazione gnostica del messaggio cristiano fu indicata e condannata come ‘eretica’.

 

Proprio nel senso appena indicato la dottrina sapienziale esoterica è stata e viene tuttora indicata col termine ‘gnosi’.

 

In una prospettiva critica retrospettiva risulta evidente che fu fondamentale il fatto che grazie alla ‘rinascita’ della tradizione esoterica antica nell’Italia del Quattrocento e del Cinquecento (soprattutto quella di matrice neoplatonica) il concetto misterico-filosofico di ‘gnosi’ (cioè di una diretta Conoscenza del mondo metafisico ottenuta con l’utilizzazione della facoltà d’intuizione intellettuale, di cui ciascun essere umano è dotato, almeno in potenza) ha posto in crisi nell’Occidente quello ‘cristiano’ della necessità assoluta di adesione alla Fede dogmatica e alla Istituzione ecclesiastica per ottenere Conoscenza e Salvezza.

 

Nonostante gli sforzi e le violenze secolari della Chiesa per contenere il sapere occidentale nell’ambito della ortodossia, l’antico concetto filosofico-sapienziale di un possibile contatto dell’anima dell’Uomo con Dio attraverso un percorso ‘socratico’ di pura interiorità, senza quindi la ‘mediazione’ di Rivelazioni, Scritture ed Istituzioni ecclesiastiche a partire dal Rinascimento italiano ritornò – come si è visto – a fecondare progressivamente la cultura d’Occidente.

Tale concezione corrispondeva all’ideale di una ricerca spirituale libera, autonoma, antidogmatica, tollerante, capace di collegare le varie forme della ricerca metafisica umana attraverso l’individuazione di una essenza unificante.

 

Naturalmente tali concetti (maturati inizialmente all’interno di una ristretta cerchia di studiosi) potevano diffondersi ed affermarsi ‘socialmente’ solo attraverso delle condizioni ‘politiche’ ben precise.

Fu per tal motivo che la cultura ‘libera’ (soprattutto quella di matrice esoterica) iniziò una dura e lunga lotta per l’affermazione del principio di ‘laicità’ (cioè di ‘libertà religiosa’) all’interno dell’intera Europa nel tentativo di separare lo Stato dalla Chiesa e di togliere a questa quelle tradizionali armi della repressione su cui aveva fondato troppo a lungo il suo potere.

Il liberalismo politico nacque in Occidente proprio dalla lotta per la libertà di religione.

 

Era facile comprendere che tale cambiamento in direzione di una secolarizzazione sociale era la condizione necessaria per la creazione di spazi politici che consentissero l’esercizio del libero pensiero e ponessero fine al plurisecolare dispotismo di matrice ‘teocratica’.

 

 

Tale processo di liberazione culturale continuò quindi ben oltre il Cinquecento (chiusosi simbolicamente col rogo il 17 febbraio del 1600 del ‘mago’, ‘eretico’ e ‘pagano’ Giordano Bruno).

Il principio di tolleranza – asse portante della moderna democrazia – fu definito filosoficamente e politicamente proprio durante il Seicento parallelamente all’inizio della rivoluzione scientifica (ed anche Galilei ebbe i suoi problemi con l’Inquisizione…)  e alla evoluzione delle teorie sullo Stato.

 

Gli ideali della tolleranza e della libertà di pensiero furono diffusi attraverso opera fondamentali quali il Tractatus theologicopoliticus di Spinoza (pubblicato anonimo nel 1670) o la Lettera sulla tolleranza di Locke del 1688.

 

Non è quindi un caso che a condurre tale lotta ‘liberale’ già a partire dalla fine del Settecento sarà (più o meno occultamente) una società segreta ‘gnostica’ di ispirazione esoterica: la Massoneria fondata ufficialmente a Londra nel 1717.

Fu proprio un massone illuminista, Voltaire, ad esaltare e diffondere più di tutti il concetto di ‘deismo’ (cioè di una religione ‘naturale’ universale) in polemica serrata e corrosiva con la credenza ‘superstiziosa’ e ‘fanatica’ in una Rivelazione storica ‘salvifica’.

Fu Voltaire a diffondere più di chiunque altro l’ideale di ‘tolleranza’, conderandola la base di ogni libertà oltre che della stessa dignità dell’essere umano e di una pacifica convienza fra gli uomini.

Il suo celebre Dizionario filosofico (pubblicato in forma anonima nel 1764) fu per così dire – la ‘Bibbia’ di quella rivolta intellettuale e morale.

Il suo pensiero è ben sitetizzato nella voce ‘teista‘ di tale opera:

 

“Il teista è un uomo fermamente persuaso dell’esistenza d’un essere supremo tanto buono quanto potente, che ha creato tutti gli esseri estesi, vegetanti, senzienti e riflettenti; che perpetua la loro specie, che punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose.

Il teista ignora come Dio punisca, favorisca e perdoni; perché non è cosí temerario da illudersi di conoscere come Dio agisca; egli sa che Dio agisce e che è giusto. Le difficoltà contro la Provvidenza non scuotono minimamente la sua fede perché, pur essendo indubbiamente grandi, non sono prove; egli si sottomette alla Provvidenza, benché non possa scorgere di essa che qualche effetto particolare ed esteriore: tuttavia giudicando delle cose che non può vedere mediante quelle che vede, egli argomenta che la Provvidenza operi sempre e in ogni luogo.

D’accordo su questo punto con il resto dell’Universo, egli si astiene tuttavia dall’aderire ad alcuna delle sètte particolari, che sono tutte intimamente contraddittorie. La sua religione è la piú antica e la piú diffusa; perché la semplice adorazione d’un Dio ha preceduto tutti i sistemi di questo mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli possono intendere, benché per il resto non s’intendano affatto tra loro. I suoi fratelli sono sparsi nel mondo da Pechino alla Caienna, tutti i saggi sono suoi fratelli. Egli ritiene che la religione non consista né nelle dottrine d’una metafisica inintelligibile, né in vani apparati, ma nell’adorazione e nella giustizia. Fare il bene, ecco il suo culto; essere sottomesso a Dio, ecco la sua dottrina [...]. Egli soccorre l’indigente e difende l’oppresso”.

 

Sempre nel Settecento lo stesso Kant (soprattutto con l’opera intitolata La religione nei limiti della sola Ragione del 1793) condividerà quei principi e quegli ideali illuministici di superamento della religione dogmatica e confessionale con la lucida forza delle sue argomentazioni.

Egli fece riferimento al concetto di ‘religione naturale pura’ insita nel cuore di ciascun uomo poiché coincidente col sentimento di ‘religiosità’ e con la volontà operosa del compiere il Bene.

Per il filosofo tedesco la stessa figura di Gesù così come è stata costruita storicamente dalla teologia dogmatica non ha alcun valore in sé ma può e deve svolgere solo una funzione ‘esemplare’: può tutt’al più costituire un ‘modello’ a cui ispirarsi nell’agire pratico morale.

 

Per quanto esposto è perfettamente comprensibile come proprio nel Settecento la Massoneria tentò di coniugare le istanze liberali, universalistiche ed interioristiche del deismo illuministico con la ‘veneranda’ Tradizione esoterica risalente alla Sapienza pagana.

 

 

Tuttavia è solo con l’Ottocento e col Novecento che il dibattito sul concetto di ‘filosofia perenne’ è stato approfondito e si sono utilizzati termini e formule diverse per indicare la sua natura e la sua struttura.

In diversi contesti culturali e speculativi alcuni hanno preferito parlare di una Sapienza arcaica o ‘antica’, altri di una Scienza sacra, altri di una Tradizione esoterica, altri di una Tradizione iniziatica, altri ancora di una Tradizione primordiale, altri di Magia, di Teosofia o di Sapere occulto e quant’altro.

 

Sono formule linguisticamente difformi ma identiche nella sostanza poiché indicano il medesimo concetto: esiste un Nucleo di Verità Essenziali che accomuna tutte le grandi scuole di pensiero ‘metafisico’, religiose o speculative che siano, sia del mondo antico che di quello moderno.

 

Per comprendere meglio l’evoluzione storica di tali definizioni concettuali e terminologiche ed anche come esse abbiano determinato la nascita nel mondo contemporaneo di vere e proprie scuole di pensiero, è però utile qualche ulteriore precisazione storico-lessicale.

 

 

TRADIZIONE

 

In epoca moderna il concetto di ‘filosofia perenne’ è anche quello fondamentale della cosiddetta Scuola Tradizionalista che si è formata e diffusa a partire dal secolo XX ad opera di pensatori quali René Guénon, Julius Evola, Frithjof Schuon, Ananda Coomaraswamy, Elémire Zolla ed altri.

Significativamente, il pensatore svizzero ‘tradizionalista’, Frithjof Schuon (1907-1998), ha parlato – dal punto di vista della storia delle confessioni – di una ‘unità trascendente delle religioni’.

Sulla stessa linea di pensiero si è collocato il filosofo francese René Guènon (1886-1951); egli ha posto in parallelo le teorie metafisiche d’Oriente (ad esempio quelle del Vedanta) con quelle antiche d’Occidente (ad esempio le analoghe del neoplatonismo) trovando analogie sostanziali.

Il pensatore francese ha fatto sempre riferimento al concetto di ‘tradizione primordiale’ collegandosi idealmente a miti antichi (sia d’Oriente che d’Occidente) relativi all’esistenza nel lontano passato di un”età dell’oro, epoca in cui la sapienza metafisica sarebbe stata universalmente accessibile molto più che nel presente ed avrebbe foggiato le stesse strutture politico-sociali di quell’evo. Su tale ‘mito’ storico-ciclico egli elaborò una critica serrata e radicale al ‘mondo moderno’, visto come massima espressione di una degenerazione intellettuale, morale e spirituale dell’umanità (si pensi alle profezie indiane circa l’avvento del ‘kali yuga’ – l’età oscura – dell’induismo, o, in Occidente, all”l’età del ferro’ di Esiodo). A suo avviso ciò è accaduto per la prevalenza nell’ambito sociale e culturale del ‘principio della quantità’ a scapito di quello opposto (propriamente ‘spirituale’) della ‘qualità’. Per Guénon il mondo moderno è in realtà (nonostante tutte le apparenze) un ‘regno’, il ‘regno della quantità’, principio che è alla base del materialismo positivistico così come della ‘democrazia’ egualitaristica. A suo avviso una società civile improntata al criterio qualitativo-spirituale, invece, non può che essere ‘gerarchica’ ed affermare così i valori dello spirito contro quelli ‘inferiori’ della materia, che hanno il loro unico principio nella degradante brama per il potere e per il possesso dei beni.

In tale epoca di decadenza la stessa coscienza umana non ha più una vera relazione col suo fondamento metafisico e per ciò stesso considera come ‘reale’ solo il mondo ‘materiale’.

La interpretazione dell’antico concetto di Tradizione ad opera del filosofo francese è stata (ed è ancora) al centro di numerose discussioni e di un acceso dibattito all’interno della stessa corrente ‘perennialista’ (da alcuni definita anche col termine ‘essenzialismo’) soprattutto a causa dei suoi riferimenti ‘mitici’, che sembrano spesso non avere solo una accettabile funzione di riferimento ‘simbolico’.

 

Julius Evola (1898-1974), che in Italia si è posto sostanzialmente sulla stessa linea di pensiero di Guénon, col suo testo Rivolta contro il mondo moderno, pubblicato nel 1934, ha in particolare studiato con acume le strutture concettuali e istituzionali delle società antiche ‘tradizionali’ ponendole a confronto con quelle del mondo d’oggi.

 

Tali autori usano preferibilmente il termine Tradizione (naturalmente con la maiuscola) spesso appellandola anche come ‘primordiale’ proprio per sottolinearne la remota origine e la trasmissione costante nel tempo (dal latino tradĕre che vuol dire ‘consegnare’, ‘lasciare in eredità’).

Tale tradizione, va precisato, non solo la conservazione nel tempo di concetti e teorie metafisiche ma anche il conferimento, di generazione in generazione, di un effettivo potere spirituale all’interno di scuole iniziatiche.

E’ evidente che nell’ambito esoterico il termine assume un significato sostanzialmente diverso da quello proprio del contesto fideistico confessionale. In questo infatti esso designa un insieme di verità rivelate storicamente ad un profeta o da un qualche ‘messia’ cui si attribuiscono caratteri teologici particolari.

Nell’ambito del cristianesimo, ad esempio, si usano varie espressioni come quella di ‘tradizione apostolica’, o ‘tradizione scritturale’, o ‘tradizione ecclesiastica’ o (più genericamente e comprensivamente) ‘tradizione cristiana’ con cui si indicano di volta in volta la trasmissione orale dell’annuncio evangelico dei primi tempi, l’insieme delle Sacre Scritture conservate inalterate nel tempo, le specifiche pratiche e norme della Chiesa istituzionale, o l’intero patrimonio dottrinale della Fede (Depositum fidei).

 

 

 

 

 

 Julius Evola

Julius Evola

 

 

MISTICISMO

 

In molti casi, soprattutto ad opera di studiosi di storia delle religioni, il concetto di ‘filosofia perenne’ viene espresso attraverso il termine Misticismo (o Mistica) ricollegandolo alla esperienza religiosa più profonda e più universale sviluppatasi storicamente all’interno delle grandi religioni. Essa rappresenterebbe il nucleo più autentico della percezione metafisica del sacro e per ciò stesso si porrebbe al di là dello specifico contesto confessionale in cui sorge. In tal caso si fa ricorso alla terminologia della tradizione sacrale della Grecia antica in cui l’esperienza religiosa suprema era considerata ‘indicibile’, ‘ineffabile’ e riservata opportunamente a scuole ‘esoteriche’ capaci di vagliare selettivamente i candidati alla iniziazione a cui poi si imponeva saggiamente il silenzio: i ‘mystai‘ o ‘mystae’.

Bisogna precisare, tuttavia, che nell’ambito del pensiero ‘tradizionale’ si pone una netta differenza tra il misticismo ‘religioso’ (devozionale e sentimentalistico, in qualche modo pur sempre collegato ad un ‘credo’ specifico) ed un misticismo ‘iniziatico’, l’unico autenticamente universale e capace di trascendere le appartenenze fideistiche particolari.

Secondo la scuola tradizionalistica è solo a quest’ultimo tipo di ‘misticismo’ di tipo ‘metafisico’ che il termine può propriamente riferirsi.

Dal punto di vista meramente storico si può affermare che la tradizione mistico-filosofica greca (iniziatica e speculativa) culminò nel pensiero di Plotino e della Scuola neoplatonica.

Pur con molte contraddizioni a questa s’ispirò, per molti aspetti, la costruzione teologica dogmatica cristiana.

Principale mediatrice di tale ‘contaminazione’ culturale fu l’opera di un neoplatonico del V- VI secolo, Dionigi l’Areopagita, così denominato perché erroneamente identificato con una figura che compare negli Atti degli Apostoli.

Tuttavia l’autorevolezza che derivò alle opere del Corpus Dionysianum proprio a causa di tale errata identificazione fece sì che esso ispirasse il pensiero di molti teologi cristiani e soprattutto di Meister Eckart (1260-1328) che dal pensatore trasse il concetto (‘esoterico’) di una identità sostanziale tra l’anima umana e quella divina, concetto che mal si conciliava, in realtà, con quello della dottrina ortodossa cristiana che affermava l’assoluta trascendenza ed alterità di Dio nei confronti della Natura e dell’Uomo.

In effetti il mistico, processato per eresia, dovette ritrattare le sue tesi, ma delle 28 analizzate dal tribunale ecclesiastico 17 furono dichiarate ‘eretiche’ con una bolla del 1329, emanata poco dopo la sua morte dal papa Giovanni XXII.

Tuttavia l’influsso di Eckart nella storia della filosofia occidentale è stato fondamentale, tanto che  la grande scuola dell’idealismo tedesco dell’Ottocento si considererà erede del suo pensiero ed Hegel, in particolare, lo indicherà come il vero padre della filosofia germanica.

Persino Schopenhauer (pur così avverso all’idealismo hegeliano) riconobbe la consonanza della filosofia mistica ‘cristiana’ di Eckart con quella orientale buddhista.

Nella sua opera magistrale intitolata Il mondo come volontà e manifestazione egli infatti affermò con la sua abituale chiarezza ed acutezza:

«Se ci allontaniamo dalle forme prodotte, dalle circostanze contingenti, e andiamo verso il nucleo delle cose, troveremo che Sakyamuni (Buddha) e Meister Eckhart insegnano la stessa cosa; soltanto che il primo osa esprimere le sue idee in modo semplice e affermativo, mentre Eckhart è obbligato a racchiuderle nei vestiti del mito Cristiano, e deve adattare le sue espressioni di conseguenza

 

 Meister Eckhart

Meister Eckhart

 

 

ESOTERISMO

 

Altro termine oggi molto utilizzato per indicare la Filosofia Perenne è quello di Esoterismo.

Anche in tal caso l’etimo è greco poiché in tale lingua esōterikós  (dalla preposizione ésō che vuol dire ‘dentro) significa ‘segreto’, ‘riservato’, ‘occulto’, in contrapposizione ad exōterikós (derivato dalla preposizione éxō che vuol dire ‘fuori’) con cui invece si designa il sapere ‘essoterico’ rivolto ai non iniziati, ai profani.

In tale contesto la filosofia perenne coincide totalmente con quella indicata da espressioni quali: la Tradizione esoterica o la Tradizione iniziatica.

 

Le caratteristiche fondamentali di tale Sapere antico e tradizionale sono state variamente indicate dai diversi studiosi.

 

In tempi recenti uno storico francese, Antoine Faivre, ha dato un importante contributo personale allo studio dell’Esoterismo ed al suo inserimento come disciplina specifica nell’ambito accademico. Egli ha sottolineato come il sostantivo ‘esoterismo’ sia comparso in Occidente solo nel Settecento, esattamente in Germania nel 1792 ad opera del teologo protestante Johann Philipp Gabler e poi nell’Ottocento in Francia per iniziativa di Jacque Matter professore di storia ecclesiastica nella facoltà di teologia di Strasburgo (esattamente nel 1828) nel tentativo di definire alcune correnti di critica illuministica alla religione cattolica istituzionalizzata.

In seguito sarà usato dall’occultista francese Eliphas Levi (1810-1875) che ha anche introdotto il termine ‘occultismo’ come suo sinonimo.

Antoine Faivre nella sua recente opera intitolata L’ésotérisme (pubblicata nel 1992)  ha proposto una propria definizione storico-religiosa anche se ha circoscritto gli studi alle sue correnti moderne e contemporanee.

Egli ne ha indicato quattro concezioni fondamentali:

1 – l’idea di una corrispondenza analogico-simpatetica tra l’Uomo e l’Universo ispirata all’antica dottrina che collega il Macrocosmo con il Microcosmo;

2 – l’idea di una Natura viva, animata;

3 – la nozione di esseri intermedi tra l’Uomo e Dio, ovvero di una serie di piani cosmici intermediari la la materia densa ed il puro spirito;

4 – la convinzione della possibilità per ciascun essere umano di una trasmutazione interiore.

Egli ha poi indicato altri due principi complementari in unione ai quattro indicati:

5 – la pratica della confluenza tra le diverse fonti dottrinali;

6 – il principio della trasmissione iniziatica della Conoscenza e del Potere spirituale.

A suo avviso tali principi e criteri corrispondono ai caratteri principali ed alle correnti più importanti dell’esoterimo occidentale, quali l’alchimia, la cabala, l’ermetismo, la teosofia.

 

 

TEOSOFIA

 

Un altro termine che nei tempi moderni è stato usato come equivalente della espressione ‘filosofia perenne’ è quello di Teosofia.

Il termine è antico e non significa altro che un tipo di ‘Sapienza che concerne Dio’ e venne originariamente usato soprattutto nel contesto dellla filosofia neoplatonica.

Fu poi ripreso a partire dal Cinquecento ed utilizzato da numerosi pensatori: da Paracelso sino al filosofo idealista Schelling.

Il suo uso contemporaneo è però per lo più correlato all’attività ed alla dottrina elaborata alla fine dell’Ottocento dalla Società Teosofica fondata esattamente nel 1875 ad opera della filosofa, veggente e saggista russa Eléna Petróvna Blavatsky (1831-1891).  Nelle sue opere (che evidenziano l’influsso dell’Occultismo e dello Spiritismo di quel secolo oltre che delle tradizionali dottrine esoteriche indiane) Blavatsky sostiene l’esistenza di una Sapere iniziatico antico di natura metafisica che accomuna da sempre le scuole di saggezza e le vie religiose dell’Oriente e dell’Occidente.

Nella sua opera intitolata La Dottrina Segreta (p.4) la occultista russa, dopo aver riportato il significativo motto che caratterizza la sua Scuola (“Non vi è religione superiore alla Verità”) così infatti afferma e precisa:

Queste verità non sono presentate in nessun senso come una rivelazione; né l’autrice ha la pretesa di assumere la veste di rivelatrice di una dottrina mistica, resa pubblica ora per la prima volta nella storia del mondo. Il contenuto in quest’opera si trova disseminato in migliaia di Volumi che costituiscono le scritture delle grandi Religioni asiatiche e delle antiche Religioni europee, ma, essendo celato sotto glifi e simboli, è rimasto finora inosservato a causa di questo velo. Quel che si tenta di fare adesso, è raccogliere tutti i più antichi dogmi per farne un insieme armonioso e completo. L’unico vantaggio sui suoi predecessori è che l’autrice non ha la necessità di far prevalere speculazioni e teorie personali poiché quest’opera è soltanto un’esposizione parziale di quanto le è stato insegnato da studiosi più progrediti, e completata, solo in alcuni dettagli, dai risultati dei propri studi e delle proprie osservazioni. La pubblicazione della maggior parte dei fatti qui esposti si è resa necessaria a causa delle speculazioni fantasiose e stravaganti alle quali molti teosofi e studiosi di Misticismo si sono abbandonati in questi ultimi anni, allo scopo, come essi immaginavano, di elaborare un sistema completo di pensiero basato sui pochi fatti da loro appresi precedentemente. Non occorre dire che quest’opera non costituisce la Dottrina Segreta in tutta la sua integrità, ma contiene soltanto un numero scelto di frammenti delle sue affermazioni fondamentali; e si è insistito in modo particolare su alcuni fatti dei quali si erano impadroniti diversi scrittori, travisandone completamente la verità. Ma è forse bene stabilire, a scanso di equivoci che, quantunque gli insegnamenti contenuti in questi Volumi siano frammentari ed incompleti, essi non appartengono alle religioni indù, zoroastriana, caldea o egiziana, e neppure esclusivamente al Buddhismo, all’Islamismo, al Giudaismo o al Cristianesimo. La Dottrina Segreta è l’essenza di tutte queste. I vari schemi religiosi, originariamente scaturiti da essa, sono stati riportati al loro elemento originale, dal quale si sono sviluppati e concretizzati ogni dogma ed ogni mistero”.

 

Dal punto di vista storico è indubbio che la Società Teosofica ha potentemente influenzato l’attuale cultura occidentale di orientamento ‘spiritualistico’.

 

Da una scissione avvenuta nel 1913 al suo interno è sorta, ad opera del filosofo austriaco Rudolf Steiner (1861-1925), l’Antroposofia, che si autodefinisce una ‘scienza occulta’ volta a porre l’Uomo a contatto col mondo spirituale.

La Scuola steineriana si è distaccata da quella teosofica anche per il ruolo preminente che il pensatore austriaco ha voluto riservare alla figura del Cristo nell’ambito dell’evoluzione spirituale dell’umanità; in tal modo il suo si pone storicamente e concettualmente come una sorta di ‘esoterismo cristiano’.

Tale teoria è stata naturalmente considerata nell’ambito della Società teosofica come una inaccettabile distorsione (di natura sostanzialmente e surrettiziamente confessionale) del concetto stesso di dottrina esoterica.

 

 

LA FILOSOFIA PERENNE NELLA MODERNITA’

 

Infine, per giungere ai nostri giorni, l’idea di una sapienza ancestrale, eterna, di cui tutti gli uomini sono partecipi sin dagli albori della storia (pur se in modo vario e formalmente differente) è anche alla base di molte correnti formatesi all’interno del movimento noto come New Age (sorto alla fine degli anni ’60 del secolo scorso) anche grazie ai coevi studi storici ed antropologici sullo sciamanesimo dei popoli cosiddetti ‘primitivi’. Si pensi, per fare un esempio, all’influsso esercitato in quel contesto dalle opere dell’antropologo-romanziere Carlos Castaneda concernenti la saggezza ‘tolteca’ dell’antico Messico o a quello dello storico ‘accademico’ Mircea Eliade attraverso la sua classica opera intitolata Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi.

Nell’ambito della riscoperta moderna delle più arcaiche forme della spiritualità ha inciso particolarmente il lavoro dell’antropologo statunitense Michael Harner (1929-2018) che attraverso la sua ‘Fondazione per gli studi sciamanici’ ha diffuso in tutto il mondo la teoria e la metodologia del suo core shamanism (sciamanesimo essenziale).

Personalità eminente del mondo accademico, soprattutto a partire dagli anni ’80, ha elaborato una sua personale ‘forma’ di pratica sciamanica adatta al mondo moderno, individuando i principi ed i metodi universali che sono a fondamento di tutte le sue varie forme storiche.

Il suo testo di base, pubblicato proprio nel 1980, è The way of the Shaman. A Guide to Power and Healing (La Via dello Sciamano. Una Guida al Potere e alla Guarigione).

 

Sempre nell’ambito del New Age hanno assunto particolare importanza gli studi moderni circa gli effetti delle sostanze psicotrope (a volte indicate col termine ‘psicoattive’).

In particolare scienziati come Stanislav Grof hanno ipotizzato che attraverso l’assunzione di particolari sostanze come LSD o la DMT la coscienza umana possa effettivamente spostarsi verso quei domini della realtà che le antiche tradizioni hanno definito come ‘spirituali’.

Del resto un uso ‘iniziatico’ di particolari sostanze volto a quel fine (si pensi al misterioso soma di cui parlano i Veda indiani) è ampiamente attestato nel mondo antico.

 

Ad una pratica magico-esoterica del mondo antico (quale quella nota come ‘teurgia’) si ispirano le correnti del New Age che operano attraverso il cosiddetto ‘channelling’ (canalizzazione). Esse, diffuse per lo più nel mondo anglosassone, di fatto continuano, senza una soluzione di continuità, la tradizione dello Spiritismo medianico ‘classico’ ottocentesco, che ha avuto come principale esponente Allan Kardec (1804-1869).

 

Ma a determinare nel modo più incisivo la nuova forma di spiritualità che caratterizza la ‘Nuova Era’ è senz’altro l’influsso delle dottrine esoteriche di origine orientale, sempre più conosciute non solo grazie alle traduzioni di testi sacri provenienti da quell’area del mondo ma anche grazie all’arrivo in Occidente di ‘maestri’ che sono diventati molto noti, a partire da Vivekananda e Yogananda, per continuare con Krishnamurti, Maharishi Mahesh e, in tempi più moderni, Osho.

Con essi si è diffuso in un largo contesto culturale occidentale il concetto indiano di Sanatana Dharma, cioè di una ‘Verità eterna’ corrispondente ad una ‘Legge Universale’ di natura spirituale sita al fondo dell’intera Realtà.

L’India ha sempre considerato le varie dottrine teologiche e metafisiche come semplici approcci ad una Verità che rimane per sua stessa natura al di là dell’attività concettuale e verbale.

E’ questo un concetto evidentemente del tutto corrispondente a quello antico proprio della tradizione esoterica occidentale.

La conoscenza delle venerande dottrine orientali si è così diffusa da rendere molto noti anche a livello di cultura popolare termini come, ad esempio, yoga, karma, samsara, chakra, prana, nirvana, zen.

 

 

Un richiamo esplicito al concetto di Filosofia Perenne attualmente è inoltre molto presente anche all’interno delle correnti della cosiddetta ‘psicologia transpersonale’ cha fa riferimento agli studi di Carl Gustav Jung, Abraham Maslow, Roberto Assaggioli, Stanislav Grof, Charles Tart, Ken Wilber.

 

 

In generale va osservato che anche nel campo contemporaneo del ‘pensiero tradizionale’ compaiono differenziazioni spesso rilevanti che sono in palese contrasto con l’idea stessa di Tradizione. Ma poiché anche questa – come tutte le altre prodotte dalla cultura umana nel corso del tempo – appartiene – in quanto ‘concetto’ – pur sempre ed in qualche modo alla dimensione ‘storica’ e dunque ‘contingente’ della realtà, ciò non può e non deve stupire.

A chi studia questa tematica con sereno spirito critico certo non sfuggirà che in alcuni casi il concetto di un Sapere radicato in una dimensione metafisica subisce (ed ha subìto) deformazioni dovute a caratterizzazioni di origine ‘personalistica’ o anche a spirito di appartenenza settaria.

L’origine di tali distorsioni ed alterazioni va quasi sempre individuata in una limitata conoscenza storica e teorica a causa delle quali si tende ad identificare la Tradizione in sé con qualche sua ‘forma’ contingente.

 

Il valore non solo teoretico (culturale, astratto) ma anche ‘pratico’ (morale e politico-civile) del concetto di Filosofia Perenne è stato chiaramente evidenziato da Aldous Huxley. Egli ha osservato come il mondo della cultura occidentale (ed in particolar modo quello della teologia) debba finalmente aprirsi ad una conoscenza non più limitata e settaria di tutte le esperienze metafisiche umane. Egli ha sottolineato il fatto che ormai in tutto il mondo siano accessibili quei testi religiosi e filosofici più rilevanti che hanno fondato nel tempo le culture formalmente più diverse. Considerato poi il fatto che, storicamente, proprio le divergenze dottrinali spesso hanno motivato contrasti e conflitti sanguinosi, l’unico vero e stabile fondamento di una Pace universale nel mondo contemporaneo non può che essere nel concetto intrinsecamente ‘liberale’, antisettario ed universalistico di una comune Verità spirituale essenziale.

Nella sua fondamentale opera, già citata, dedicata alla Filosofia Perenne pubblicata significativamente nel 1945, alla fine quindi della devastante seconda guerra mondiale, egli infatti  così critica con saggezza e razionale preveggenza le angustie culturali e morali sia dell’esclusivismo  religioso che di quello del tutto analogo di natura politica:

La regola anche tra i protestanti ed i cattolici dotti è un certo provincialismo blando e iattante che sarebbe solo clamorosamente ridicolo, se non costituisse una così grave offesa contro la carità e la verità. Cento anni fa si sapeva ben poco di sanscrito, di pali e di cinese. L’ignoranza degli studiosi occidentali era una scusa sufficiente per il loro provincialismo. Oggi che sono disponibili in abbondanza traduzioni più o meno adeguate, non solo non c’è più una ragione ma non c’è nemmeno una scusa per l’ignoranza. E tuttavia, quasi tutti gli Europei e gli Americani che hanno scritto libri di religione e di metafisica si comportano come se nessuno avesse mai riflettuto su questi temi tranne gli Ebrei, i Greci e i cristiani del bacino mediterraneo e dell’Europa occidentale. Questo sfoggio di quella che, nel XX secolo, è un’ignoranza del tutto volontaria e deliberata non solo è assurdo e disdicevole; è anche socialmente pericoloso. Come qualsiasi altra forma d’imperialismo, quello teologico è una minaccia alla pace mondiale permanente. Il regno della violenza non avrà mai fine finché, in primo luogo,la maggior parte degli esseri umani non accetteranno la stessa, autentica filosofia di vita; finché, in secondo luogo,non si riconoscerà questa Filosofia Perenne come il massimo comun divisore di tutte le religioni mondiali; finché, in terzo luogo, gli adepti di ogni religione non rinuncieranno alle filosofie idolatriche del tempo, da cui è stata ricoperta e soffocata, nella loro fede particolare, la Filosofia Perenne dell’eternità; finché, in quarto luogo,non ci sarà un ripudio mondiale di tutte le pseudoreligioni politiche che pongono il bene supremo dell’uomo nel tempo futuro e pertanto giustificano e raccomandano la perpetrazione di ogni genere di iniquità nel presente, come mezzo a quel fine. Se non verranno soddisfatte queste condizioni, nessuno sfoggio di progetti politici, nessun piano economico sia pure ingenosamente preparato, potrà impedire una recrudescenza di guerre e di rivoluzioni”.[2]

 

Certo, a distanza di diversi decenni da quando sono state scritte queste profetiche considerazioni, si può affermare – oggettivamente – che i progressi auspicati da Huxley in direzione di una effettiva ‘integrazione verso’ l’alto del pensiero metafisico-religioso (oltre che di quello politico), sono ancora inadeguati.

Tale evoluzione, però, non dovrebbe, se realizzata con saggezza, distruggere le identità, ma orientarle ed innalzarle progressivamente, facendole convergere verso un livello superiore di Conoscenza e di Bene.

L’intera Umanità, oggi più che mai, è chiamata a rispondere a questa sfida, chiaramente decisiva per il suo stesso destino.

 Carlos Castaneda

Carlos Castaneda

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1]Aldous Huxley, La Filosofia Perenne, ed. Adelphi, Milano, 1995, p.11.

[2]Aldous Huxley, La Filosofia Perenne,Adelphi Edizioni, Milano, 1995, pp. 271-272