Attilio Quattrocchi

 

LA SUBLIMAZIONE

DELLE ENERGIE PSICHICHE

 

Sublimazione Energie Psichiche

ORIGINE STORICA DEL TERMINE ‘SUBLIMAZIONE’

 

Ad una considerazione meramente storica risulta evidente che il concetto di ‘sublimazione’ ha assunto nel tempo significati molto diversi, quasi opposti.

Se nel mondo moderno e contemporaneo esso si è ‘svincolato’ da ogni accezione ‘sacrale’ e viene utilizzato nell’ambito ‘profano’ della scienza chimica e della ‘psicanalisi’, nel mondo antico – e specificatamente nella tradizione esoterica – esso si riferiva invece, attraverso un complesso simbolismo, alla possibilità umana di mutare la propria condizione ‘psichica’ e di così accedere ai ‘mondi superiori’.

Il vocabolo ‘sublimazione’ deriva dalla preposizione latina ‘sub’, che significa ‘sotto’ ma anche ‘presso’, ‘vicino’, ai piedi di’ e dal sostantivo ‘limen’ che significa ‘soglia’, ‘ingresso’.

Esso vuol quindi dire letteralmente e figurativamente: ‘che conduce nei pressi, vicino alla ‘soglia’, quella più alta, quella del potere e dunque ad una condizione ‘più elevata’.

Nell’uso classico il termine veniva sovente associato appunto a quello di ‘solium’, cioè appunto ‘soglio’, ‘trono’.

Per questo si indicava una persona di elevato rango come ‘sedens solio sublimis’, cioè come un individuo che ‘sedeva in alto sul soglio’e questo era utilizzato come metafora per indicare il potere di un re (‘soglio reale’), di un papa (‘soglio papale’) o quello di Dio e dei santi (‘soglio celeste’).

Del resto ancor oggi l’espressione ‘salire al soglio pontificio’ vuol dire nient’altro che ‘diventare papa’.

Per questo il termine ‘sublimis’ già nel mondo romano aveva un significato che andava oltre quello meramente ‘spaziale’ di ‘elevato’, ‘alto’, ‘posto in aria’ ed era sovente sinonimo di ‘illustre’, ‘nobile’, ‘potente’, ‘forte’, ‘elevato spiritualmente’, ‘eccelso’, ‘supremo’, ‘nobilissimo’.

Nel latino ecclesiastico del medioevo, poi, quando era riferito a Dio, ne indicava appunto la perfettissima essenza.

E’ proprio nell’ambito dell’esoterismo alchemico medievale (significativamente) che il vocabolo ‘sublimatio-sublimationis’ indicò un dinamismo di trasformazione e di affinamento sia ‘interno’ (la coscienza dell’alchimista) che ‘esterno’ (la ‘materia’ ‘volgare’ usata nella procedura dell’arte che doveva essere ‘trasmutata’).

E’ significativo il fatto che i termini ‘alchimia’ e quello di ‘chimica’ derivano entrambi dall’arabo ‘al-kimiya’, vocabolo che indicava la prodigiosa ‘pietra filosofale’ capace di modificare la natura dei metalli e dell’uomo stesso.

Con la successiva nascita della scienza chimica venne chiamata ‘sublimazione’ ogni operazione di trasformazione che attraverso il riscaldamento vaporizza e volatilizza delle sostanze solide per poi, col raffreddamento, riunirle di nuovo in forme solide ma purificate.

Dall’ambito storico-culturale dell’ Ars regia venne alla lingua tedesca appunto il termine ‘Sublimierung’ con cui finì per indicarsi ‘scientificamente’ il cambiamento di stato di una qualche sostanza col passaggio da un grado di purezza inferiore ad uno superiore.

LA SUBLIMAZIONE NELLA PSICANALISI

Alla fine dell’Ottocento Sigmund Freud utilizzò il termine con piena consapevolezza delle sue origini ed implicazioni storico-dottrinali; come rileva Luigi Aurigemma: “Con questi significati egli, ottimo conoscitore del tedesco e pienamente cosciente delle sue proprie scelte linguistiche, eredita e sceglie il termine  ‘Sublimierung’ per farne una delle chiavi della sua spiegazione dell’uomo”.[1]

Uno dei primi riferimenti freudiani al concetto di ‘sublimazione’ è riferibile al 1909, allorché, in una conferenza tenuta negli USA, lo collegò esplicitamente alla sua ‘psicologia del profondo’  per la quale tutta la vita psichica e persino le più elevate espressioni culturali umane nascono dal confronto dell’io consapevole (il quale deve sempre rapportarsi ad una realtà naturale e sociale potenzialemente ostile) con la forza libidica dell’inconscio il cui principio fondante è invece quello del puro piacere.

Per Freud la ‘natura’ della energia psichica è meramente sessuale ma una delle sue caratteristiche è quella di poter essere, per così dire, ‘dirottata’ verso altre mete.

Proprio tale sua peculiarità ha consentito all’uomo, a suo avviso, di orientare le pulsioni libidiche (per loro natura potenzialmente distruttive) verso la costruzione delle varie forme di cultura e civiltà:

“Le componenti della pulsione sessuale – egli affermò – si distinguono precisamente per la capacità di ‘sublimazione’, di permuta della loro meta sessuale con una meta più lontana e di maggiore valore sociale. Dobbiamo probabilmente ai contributi di energia resi così disponibili per le nostre prestazioni psichiche le acquisizioni più elevate della civiltà”.[2]

Tale concetto venne da lui ribadito anche nell’opera capitale L’io e l’Es  del 1922:

“Se questa energia spostabile è energia desessualizzata essa può anche essere definita energia ‘sublimata’… Se includiamo in questi spostamenti anche i processi di pensiero, intesi nel loro più ampio significato, pure il lavoro intellettuale risulterebbe sostenuto dalla sublimazione di forze motrici erotiche”. [3]

Sempre nella stessa opera egli individuò nell’io il principio capace di operare la trasfomazione delle energie libidiche:

“A una considerazione più approfondita si pone l’importante quesito se in via generale ogni sublimazione non si produca proprio a mezzo dell’io: il quale dapprima trasformerebbe la libido oggettuale in libido narcisistica, per poi indicare eventualmente a quest’ultima un’altra meta: una meta apprezzata socialmente, un’attività o un’opera di sublimazione.”[4]

C’è un passo molto importante di Freud sullo stesso tema ( a cui purtroppo non ha mai dedicato uno studio specifico proprio riconoscendone la difficoltà) nel suo saggio intitolato ‘La morale sessuale ‘civile’ e il nervosismo moderno’ del 1908.

In esso rileva la qualità della pulsione sessuale di ’spostare la propria meta’ verso attività d’incivilimento ma ne individua, tuttavia, anche la opposta possibilità di una ‘fissazione’ capace di farla degenerare in ‘anormalità’.

Per Freud, inoltre, una ‘stasi’ della libido precede la comparsa di nevrosi o delle psicosi perché, se non riesce più a scaricarsi adeguatamente, si accumula a livello intrapsichico sino a manifestarsi con sintomi patologici.

E’ da sottolineare anche il suo riconoscimento della ‘variabilità individuale’ nella propensione e capacità di sublimazione che egli riferisce ad una possibile ‘influenza intellettuale’ (dunque anche formativa, educativa) sul processo.

Così si esprime lo studioso austriaco:

« La pulsione sessuale – o, per meglio dire, le pulsioni sessuali, poiché un’indagine analitica ci insegna che la pulsione sessuale è formata di molte componenti, di molte pulsioni parziali – è verosimilmente più sviluppata nell’uomo che nella maggior parte degli animali superiori e, comunque, più costante, giacché ha quasi completamente superato la periodicità alla quale appare legata negli animali. Essa mette enormi quantità di forze a disposizione del lavoro di incivilimento, e ciò a causa della sua particolare qualità assai spiccata di poter spostare la propria meta senza nessuna essenziale diminuzione d’intensità. Chiamiamo facoltà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima. In contrasto con questa possibilità di spostarsi, nella quale consiste il suo valore di civiltà, la pulsione sessuale ammette anche una fissazione particolarmente ostinata, che la rende inutilizzabile e talvolta fa sì che essa degeneri nelle cosiddette anormalità. L’intensità originaria della pulsione sessuale varia probabilmente da individuo a individuo; sicuramente oscillante è la parte di essa che si presta a essere sublimata. Noi ci rappresentiamo che sia anzitutto l’organizzazione congenita a determinare quale parte della pulsione sessuale si mostrerà sublimabile e utilizzabile in ogni individuo; oltre a ciò, spetta agli influssi della vita e all’influenza intellettuale esercitata sull’apparato psichico di portare alla sublimazione una parte ulteriore. E’ tuttavia certo che questo processo di spostamento non può essere proseguito indefinitamente, così come non può esserlo la trasformazione del calore in lavoro meccanico nelle nostre macchine. In una certa misura il soddisfacimento sessuale diretto sembra indispensabile per la maggior parte delle organizzazioni; è una misura individualmente variabile il cui difetto si sconta con fenomeni che, in forza della loro azione nociva sulla funzione e del loro carattere soggettivo di dispiacere, devono essere considerati stati morbosi. »[5]

Anche nel suo celebre saggio intitolato Il disagio della civiltà (pubblicato nel 1929) Freud si dimostrò fermo nella sua teoria tanto da applicarla di fatto all’analisi dell’intera opera di civiltà dell’uomo:

“Se la civiltà impone sacrifici tanto grandi non solo alla sessualità ma anche all’aggressività dell’uomo, allora intendiamo meglio perché l’uomo stenti a trovare in essa la sua felicità. Di fatto  l’uomo primordiale stava meglio, perché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua… A questo punto non può mancare di colpirci l’analogia tra il processo d’incivilimento e l’evoluzione libidica del singolo… la sublimazione pulsionale è un segno che contraddistingue particolarmente il processo d’incivilimento; essa fa sì che alcune attività psichiche assai elevate – le attività scientifiche, artistiche, ideologiche – assumano una parte così importante nella vita civile. Cedendo alla prima impressione, saremmo tentati di dire che la sublimazione è un destino forzatamente imposto alle pulsioni dalla civiltà. Ma sarà meglio riflettere su ciò un po’ più a lungo”.[6]

Molto significativa quest’ultima frase dello studioso che ben evidenzia la sua consapevolezza delle difficoltà e dell’inadeguatezza delle sue osservazioni ai fini di una formulazione teorica compiuta, organica e concettualmente chiara sul tema.

In effetti se l’io può sublimare l’energie ‘pulsionali’ ci si dovrebbe coerentemente chiedere quale sia allora la ‘natura’ dell’io, in virtù di quale sia capace di spostare verso l’alto le energie sessuali.

Non basta dire, come fa Freud, che c’è un ‘meccanismo naturale’ (sostanzialemte ‘involontario’ e sicuramente ‘inconscio’) capace di compiere nell’individuo quella ‘trasmutazione’ in vista di una integrazione ‘sociale’  che di per sé comporti la ‘repressione’ patogena degli ‘istinti’…

In altri termini: se l’Es, l’Inconscio è una ‘realtà’ costituita da forze libidiche di natura ‘istintiva’, qual è la natura di un principio, – l’io, appunto – capace di operare ‘contro’ di esse inibendole, rimuovendole o di operare persino ‘dentro’ di esse ‘trasmutandole’?

Insomma, se vogliamo avere una visione completa della struttura della psiche umana, all’inconscio ‘inferiore’ non si dovrebbe contrapporre ‘ontologicamente’, un altrettanto ‘reale’ ed antagonista inconscio ‘superiore’ piuttosto che un semplice ‘principio di realtà’?

E non si dovrebbe riferire l’origine vera della civiltà e delle sue straordinarie manifestazioni proprio alla forza ‘spirituale’ di tale principio, che è ‘materiato’ di libertà, consapevolezza, creatività e che s’identifica con la coscienza stessa, con l’anima, come avrebbero detto gli antichi…?

Ad una lettura attenta è evidente la difficoltà di Freud a spiegare l’origine della funzione psichica che pone in atto la sublimazione e quindi ad individuare quella parte dell’apparato coscienziale umano a cui si possa riferire quella capacità.

E’ palesemente del tutto insufficiente riferirsi ad una ‘qualche influenza intellettuale’ senza riconoscere che nella struttura psichica umana c’è una ‘parte’ in cui si esprime una ‘forza di trascendenza’ capace di contrastare e canalizzare la pulsione ‘naturalistica’ ed ‘immanentistica’ della libido.

 

 

A tale incompletezza ‘teoretica’ di chiara origine positivistica cercherà di ovviare il principale ‘discepolo’  di Freud, cioè lo psichiatra svizzero Karl Gustav Jung.

Costui, in effetti, ritenne necessario elaborare un concetto più ampio ed articolato di ‘libido’ tanto che, di fatto, lo sostituì con quello ‘tradizionale’ di ‘energia vitale’, chiaramente collegato a quello di ‘anima’ della filosofia antica ed in particolare a quella di orientamento ‘esoterico’.

Per Jung la ‘libido’ va intesa infatti come una ‘energia psichica’ capace di assumere forme espressive anche molto differenziate e di manifestarsi quindi in ambiti apparentemente opposti: da quello ‘istintuale’ radicato nei bisogni corporei a quello ‘spirituale’ che orienta l’uomo verso le dimensioni più ‘elevate’ che hanno consentito all’uomo di produrre cultura e civiltà.

Questa è la sua tesi di fondo nell’opera capitale del 1912 intitolata Trasformazioni e simboli della libido.

 

Di conseguenza per Jung la ‘sublimazione’ può essere compresa e ‘giustificata’ solo se si ammette che nella psiche umana esiste una polarità entro la quale si manifestano tutte le multiformi attività coscienziale dell’individuo.

Tuttavia per lo studioso l’indagine sul polo ‘superiore’ dell’uomo, quello metaistintuale, deve pur sempre rimanere cautamente e rigorosamente nell’ambito ‘psicologico’ e non sconfinare in uno di tipo ‘metafisico’.

In tale posizione è molto evidente l’influenza del pensiero kantiano.

La stessa religione che per Freud (positivisticamente e feuerbachianamente) è da confinare nel mondo della ‘illusione’ va per Jung studiata come il manifestarsi di forze psicologiche a loro modo ‘reali’ e persino metaindividuali, essendo ogni inconscio individuale collegato a tutti gli altri attraverso strutture archetipiche comuni.

Per lo psichiatra svizzero la virtù e la dimostrazione dell’esistenza dello ‘spirito’ è proprio nella umana capacità di ‘portare in alto’ le energie ‘infere’ e di compiere così una ‘trasmutazione alchemica’.

Non è quindi un caso che proprio la tradizione esoterica dell’Ars regia diventerà per lui oggetto di uno studio appassionato tanto che l’ultimo suo grande studio sull’argomento, intitolato Mysterium coniunctionis, venne edito nel 1955-56, poco tempo prima della morte.

In una lettera del 1934 egli descrisse la sublimazione non come una mera ‘rimozione’ operata dalla psiche ai fini dell’integrazione sociale ma come un processo di ‘reale’ trasformazione della coscienza umana che richiede ‘alchimisticamente’ il ‘fuoco’ della concentrazione e dell’intento affinché essa si liberi ‘operativamente’ dalle catene che la legano alla ‘materia prima’, cioè alla sua ‘materialità’ e al suo condizionamento di origine ‘sociale’.

“La sublimatio – egli afferma – è parte dell’Arte Regia, con la quale viene prodotto il vero Oro. Di questo Freud non sa proprio nulla e anzi peggio, egli blocca ogni via che potrebbe condurre alla vera sublimatio; la quale è il contrario, o poco manca, di quel che Freud intende per sublimazione. La sublimatio, infatti, non è affatto un modo volontario e forzoso per canalizzare una pulsione in un campo d’utilizzazione improprio, bensì una ‘trasformazione alchemica’, per la quale sono necessari il ‘fuoco’ e la nera ‘materia prima’”.[7]

LA SUBLIMAZIONE NELLA TRADIZIONE ESOTERICA

Le dottrine e le intuizioni della psicologia del profondo proprie dell’occidente moderno hanno un merito storico incontestabile ed essenziale: quello di  contribuito indirettamente alla riscoperta e ‘valorizzazione’ delle antiche tradizioni esoteriche relative alla natura e alla struttura dell’anima.

La psicanalisi ha dimostrato ‘scientificamente’ un caposaldo della tradizione esoterica: l’esistenza di livelli di coscienza differenziati all’interno della psiche umana tanto da dimostrare come del tutto infondata la convinzione ‘positivistica’ che psiche e coscienza siano la stessa cosa.

Molti livelli del nostro stesso ‘io’ sono celati alla diretta e consapevole percezione tipica dello stato di veglia.

E’ proprio grazie alla psicanalisi che oggi è del tutto evidente che nell’Inconscio (comunque lo si descriva) giacciono forze talmente potenti da poter ‘modificare’, ‘influenzare’ e persino ‘determinare’ i nostri stati d’animo, le nostre convinzioni e la nostra stessa salute ‘fisica’.

La psicanalisi ha altresì dimostrato che le nostre ‘energie psichiche’ possono, in virtù di processi ad essa però non molto chiari, cambiare la loro ‘natura’, il loro ‘campo d’azione’ ed in tal modo ‘trasmutarsi’.

La sublimazione consente all’io di ‘fissarsi’ ed ‘identificarsi’ con più alti livelli di consapevolezza individuale a cui corrispondono atteggiamenti ed azioni di sempre più elevata intellettualità, eticità e positività sociale.

Tuttavia la moderna ‘psicologia del profondo’ non ha ancora compreso quel che era chiaro alla saggezza esoterica ‘antica’; il fatto, cioè, che tale ‘trasmutazione’ non solo può essere compresa nella sua vera natura, ma può altresì essere ‘operata’ intenzionalmente ed orientata, in quanto ‘sublimazione’, allo sviluppo della coscienza sino a consentirne la diretta percezione del mondo metafisico.

In effetti tutte le dottrine esoteriche antiche, in qualsiasi cultura si siano sviluppate, hanno mirato alla evoluzione della coscienza umana da un piano ‘ordinario’ ( a cui corrisponde la mera percezione del piano ‘materiale’ della Realtà) ad un piano più ‘elevato’ ( a cui corrisponde il piano ‘metafisico’).

Tale tesi è facilmente dimostrabile attraverso un’analisi (anche se, in tale contesto, molto sintetica) di alcune di tali tradizioni quali, ad esempio, quelle dell’India, della Cina e della Grecia.

1 – L’INDIA

 

kundalini

Nella tradizione esoterica indiana la via dello yoga  è stata quella che più di tutte si è caratterizzata per il tentativo consapevole di sublimare la coscienza riconducendola al livello ‘transfisico’ che le è proprio.

Lo stesso termine ‘yoga’ sta a significare in effetti l’’unione’, a cui aspira l’adepto, della coscienza umana con quella ‘divina’, o ancor meglio, al di fuori di ogni contesto religioso ‘fideistico’, l’unione tra l’Io e la sua Essenza spirituale profonda, il Sé, l’ atman.

Ogni pratica yoga (che si pone per ciò stesso sul piano di una diretta esperienza) si propone, quindi, la sublimazione della coscienza umana, ma la tecnica che più di altre esplicitamente opera proprio a partire dalla energia sessuale è il kundalini yoga storicamente collegato allo hatha yoga (quello che, con una certa semplificazione, si può definire come lo yoga ‘fisico’) e alla tradizione ‘tantrica’(un indirizzo religioso e metafisico affermatosi in India a partire dai primi secoli dell’era cristiana).

L’esoterismo indiano ritiene che in corrispondenza del corpo fisico l’uomo possieda anche un corpo ‘sottile’  (suksma-sharira) ‘fatto’, per così dire, di una energia invisibile agli organi di senso (prana) ma ‘percepibile’ attraverso appunto una costante pratica d’interiorizzazione.

Orbene, nel centro energetico più ‘basso’ del corpo sottile (denominato muladhara chakra, cioè centro-radice), posto in corrispondenza degli organi sessuali ed esattamente tra l’apertura anale ed i genitali, sarebbe presente una Forza che si manifesta ordinariamente (cioè fisicamente, fisiologicamente) come ‘istinto riproduttivo’.

Questa, se viene percepita nella sua dimensione cosmica-transfisica, si rivela come una Energia capace di guidare la coscienza umana dal piano ‘materiale’ a quello ‘spirituale’ e di collegare l’individuo con l’Assoluto.

Insomma per l’esoterismo indiano come per quello greco (si pensi ai misteri dionisiaci, a quelli eleusini o a Platone stesso) la potenza attrattiva dell’Eros (ed è questo il suo ‘segreto’) ha un’origine’, un ‘fondamento’ ed una ‘finalità’metafisica.

Eros, per dirla in termini greci, sarebbe quindi non solo l’archè, cioè il Principio Primo, della Vita biologica ma anche, una volta che sia stato sublimato, di quella spirituale.

Nel simbolismo iconografico indiano tale Forza è raffigurata nel muladhara come un Serpente arrotolata (Kundala in sanscrito significa ‘avvolto su se stesso’) intorno ad un linga (phallus) pronto però a ‘drizzarsi’, a ‘svolgersi verso l’alto’ quando viene fatto ascendere dalla forza ‘virile’ (virya) della concentrazione meditativa.[8]

Nei testi tantrici Kundalini viene descritta come una ‘vibrazione’ o ‘fremito’che si manifesta nel singolo corpo umano nel momento dell’eccitazione sessuale ma che in realtà è presente come Forza generativa negli esseri viventi dell’intero Universo.

Nella tradizione esoterica indiana in effetti tutto il Cosmo è nient’altro che il prodotto di una sconfinata Vibrazione, nel contempo unitaria e multiforme (di cui il mantra om è, per così dire, la trasposizione sonora umana); la stessa materia è nient’altro che una ‘modalità vibratoria’ (tale teoria, com’è noto, è del tutto confermata dalla fisica occidentale moderna…).

Inoltre la dottrina yoga afferma che proprio per tale motivo il corpo umano, nella sua concreta, tangibile ‘fisicità, è collegato con un ‘campo vibrazionale psichico’ fatto appunto di ‘prana’.

Questa energia circola nel corpo sottile attraverso delle ‘vene’ (nadi) e si concentra in corrispondenza di sette centri (chakra, cioè ‘ruote’) dislocati lungo l’asse cerebro-spinale.

Le tre nadi più importanti sono chiamate ida,  pingala e sushumna.

Le prime due sono raffigurate come intrecciantesi serpentinamente intorno a quella verticale, sushumna, interna alla colonna vertebrale (il simbolo è presente anche nella tradizione esoterica occidentale ed è noto come il ‘caduceo di Mercurio’).

Quando Ida e pingala (che rappresentano nel microcosmo-uomo i due Principi supremi dell’intera Realtà: ida quello ‘femminile’, generativo, naturalistico, passivo e pingala quello ‘maschile’, attivo, sovratemporale e ‘metafisico’ in senso stretto) si uniscono (con metodi tecnici opportuni), tendono spontaneamente a scorrere all’interno di sushumna.

La tradizione indiana colloca sopra il chakra-radice – il muladhara appunto – il svadishtana, correlato al plesso prostatico e alla clitoride.

Sempre partendo dal basso, il terzo chakra è il manipura collocato all’altezza dell’ombelico.

A livello del plesso cardiaco c’è l’anahata.

Il quinto è il vishudda, sito in corrispondenza della gola, del plesso laringeo.

Il sesto è l’Ajna correlato alla ghiandola pineale, al plesso cavernoso; è il luogo del cosiddetto ‘terzo occhio’.

Infine, alla sommità del cranio, cioè della ‘fontanula’ o ‘fontanella’ si trova il settimo, il sahasrara, chiamato anche ‘loto dai mille petali’; il vertice poi dell’intero corpo (che corrisponde figurativamente al centro di tale chakra) è chiamato anche brahma-randhra, ‘apertura di Dio’, cioè ‘luogo di accesso a Dio’.[9]

Alcuni testi specificano, però, che il sahasrara è propriamente ‘sopra’, ‘fuori’ il corpo proprio perché è il ‘luogo’ della trascendenza. Per questo la sua ‘percezione’ comporta una condizione mistico-estatica (samadhi) in cui l’iniziato può entrare ‘fisicamente’, cioè ‘esteriormente’, in una condizione catalettica.

Tutto il processo ascensivo avviene tra quello che anche le tradizioni ‘profane’ hanno sempre chiamato significativamente ’osso ‘sacro’ (l’insieme delle vertebre terminali della colonna, situato tra le due ossa iliache, il cui punto più in  basso è il ‘coccige’) e la ‘fontanella di Brahma’.[10]

I chakra (o ‘padma’, cioè ‘loti’) rappresentano diversi livelli vibratori del prana a cui corrispondono anche diverse ‘dimensioni’ sottili della realtà (icasticamente rappresentate spesso come ‘luoghi,’ ‘dimore’), diverse ‘potenze’ (personificate come entità ‘divine’, nell’immaginario religioso) e diversi ‘stati di coscienza.

Proprio perché con la introspezione l’uomo può accedere alle fonti universali delle sue energie psichiche, la concentrazione meditativa sui vari centri, secondo la tradizione, darebbe anche luogo all’acquisizione di poteri occulti (siddhi) come quelli della preveggenza, della telepatia, della bilocazione ed altri.

In tal senso è evidente l’identità sostanziale di tale dottrina con quella occidentale propria dell’ambito magico/esoterico/sapienziale circa l’ analogia tra il Microcosmo-Uomo e il Macrocosmo-Universo.[11]

Poiché, inoltre, le energie dei chakra ‘inferiori’ sono quelle più connesse alla dimensione materiale e si manifestano psichicamente come istintività e passionalità (soprattutto come libidine, voracità ed aggressività), volgerle con la concentrazione verso i chakra ‘superiori’ significa ‘operativamente’ modificare l’io, spiritualizzarlo, desomatizzarlo, ricondurlo alla sua ‘divina’ natura essenziale.

Il concetto non è certo estraneo all’occidente: basti ricordare il mito platonico raccontato nel Fedro per cui l’anima è rappresentata nelle sue tre ‘parti’ come un auriga (la coscienza) che deve guidare ‘verso l’alto’ un cavallo bianco (la componente emozionale) ed un più recalcitrante cavallo nero (gli istinti, le passioni).

Le varianti ‘tecniche’ all’interno del kundalini-yoga prevedono ‘operativamente’ nelle varie scuole la utilizzazione di volta in volta di respirazioni, visualizzazioni, recitazioni ‘mantriche’, asanas (posture), contratture muscolari (bandha) o quant’altro per realizzare l’unico scopo  essenziale: quello di ‘risvegliare’ e ‘canalizzare’ le energie del corpo sottile dal ‘basso’ verso l’’alto’, realizzando così una loro intrinseca ‘sublimazione’.

Quando kundalini si risveglia e sale, dicono i testi, si percepisce nel corpo come una sottile vibrazione, un fremito.

In realtà, a ben considerare. anche il non-iniziato può avere di fatto un ‘presentimento’, un ‘fioco barlume’ di tale esperienza quando in un istante di vero piacere o d’intensa emozione gli ‘accade’ di percepire un ‘sottile’ ‘brivido’ scorrere lungo la schiena (e, a volte, ‘diramarsi’ verso le braccia…).

Chi ha avuto nella propria vita l’esperienza di tale vibrazione ‘fisica’ avra potuto notare che essa va (significativamente!) di pari passo col crescere e l’espandersi di un sentimento ‘interiore’ di ‘ardore’, ‘pienezza vitale’, ‘entusiasmo’.

Naturalmente l’uomo comune, il ‘profano’ che  nulla sa della dimensione sottile della realtà, non riesce a darsi conto della ‘natura’ di quell’esperienza perché ne ignora l’origine ‘pranica’ essendo al di fuori delle sue capacità percettive il fenomeno dell’accumularsi, dell’espandersi, del fluire e del concentrarsi dell’energia vitale nel suo corpo sottile.

Nel kundalini-yoga ogni chakra è raffigurato in maniera molto dettagliata attraverso diagrammi, simboli, lettere dell’alfabeto sanscrito, immagini di divinità e quant’altro ed è compito dell’iniziato riprodurre interiormente tali complesse immagini nel momento della sua pratica.

Tutto ciò sembra avere una duplice funzione: sia di fissare la coscienza in un ‘luogo’ del corpo sottile in cui ‘entrano’ particolari e specifiche energie per poterle così intensificare, sia quella di attivare la facoltà attraverso la quale si può ‘operare’ sul piano sottile.

L’immaginazione, in tal caso, non è un puro fantasticare, non è solo un’automatica facoltà di produrre immagini interiori senza che intervenga il controllo della coscienza, al contrario la immaginazione ‘attiva’ della pratica yoga presuppone l’esatto contrario, cioè l’acquisizione della capacità di rendere attiva e consapevole una funzione che altrimenti sarebbe solo ‘guidata’ dall’inconscio.

Per comprendere, anche da ‘profani’ le potenzialità di tale immaginazione attiva e attenendoci al livello di una ordinaria esperienza è facile notare come essa, da sola, possa attivare processi sia fisici che psichici.

Ne sono un esempio le modificazioni che si manifestano fisiologicamente nel corpo ed emozionalmente nella psiche di un individuo proprio nel caso in cui indulga in fantasie di natura fortemente emotiva.

Del resto le stesse immagini oniriche inducono spesso notevoli reazioni fisiologiche.

La medicina psicosomatica studia ormai da molti decenni proprio l’influenza delle immagini interiori sul corpo ed è un dato scientifico acclarato, ormai, l’effetto ‘placebo’ per il quale la ‘fede’ in una guarigione (che si concretizza in una immaginazione) la fa realizzare anche in assenza di un reale intervento terapeutico farmacologico (va da sé che esiste, al contrario, anche l’effetto ‘nocebo’…).

Oltretutto l’efficacia dell’immaginazione attiva nel campo terapeutico fisico-psichico è ampiamente dimostrata dalle moderne esperienze della scuola psicanalitica, soprattutto quella d’ispirazione junghiana.

L’idea antica era che il corpo sottile è ‘plastico’ e strutturalmente connesso con quello ‘fisico’ per cui ogni sua trasformazione (anche quella attivata attraverso le forze ideative) tende a ‘precipitare’ cioè a manifestarsi ‘fisiologicamente’.

E’ questo un assunto, com’è noto, della tradizione ‘magica’ di tutti i popoli di tutti i tempi.

Non c’è quindi da stupirsi se è proprio nell’immaginazione ‘attiva’ (cioè deliberata ed intenzionale) che il kundalini-yoga individua una facoltà con cui agire nel piano sottile del chakra.

La stessa ‘iniziazione’ comporta un uso simile di quella capacità umana in quanto i testi tantrici spiegano diffusamente come un’attivazione interiore dell’energia operata nel suo intimo da un maestro consenta a costui di ‘proiettarla’ verso l’adepto, inducendo in lui un’analoga trasformazione illuminativa.[12]

Nella tradizione essoterico/religiosa dell’induismo la polarità delle forze presenti nell’intero Universo e nel corpo dell’Uomo è personificata da due divinità: Shiva e Shakty.

Shiva rappresenta il principio ‘maschile’ della pura Coscienza e della Trascendenza, immobile e sovratemporale (nella tradizione occidentale sarebbe indicato come l’Essere), Shakty, invece, il Principio ‘femminile’, quello che ‘genera i mondi’ nello spazio-tempo; è dunque la Devi, la dea del Divenire, la Madre dell’Universo.

Per questo, iconograficamente, l’accoppiarsi delle due divinità sta a simboleggiare il superamento di ogni dualità.

Ma poiché proprio questa dualità caratterizza il nostro mondo materiale, andare oltre le forme, andare oltre il mondo ‘illusorio’ di maya significa riscoprire l’Unità Originaria, il Principio Primo.

L’iniziato che realizza interiormente tale Unità accede alla ‘unio mystica’.

Questo può accadere proprio perché la Potenza generativa – la Shakti - è tutt’intera ‘nascosta’, ‘occultata’ nel muladhara così come quella ‘trascendente’ – Shiva – è nel sahasrara.

Quando l’uomo ricongiunge in sé i due Principi (la forza dell’Eros si riunisce alla forza del Logos, direbbero i greci) supera definitivamente il mondo della dualità e s’identifica con l’Uno/Brahman.

Kundalini, insomma, cerca per la sua stessa ‘natura’ il Trascendente perché è in esso che si trova la sua origine, il suo fondamento e dunque il suo fine.

Identica fu nell’Occidente antico la teoria sull’Eros custodita nella tradizione misterica rivelata a Socrate, secondo Platone, proprio da una sacerdotessa dei culti misterici, Diotima di Mantinea.

Per l’India come per la Grecia, quindi, la tensione ‘biologica’ dell’Eros può essere ‘appagata’, ‘realizzata’ solo ‘metafisicamente’ attraverso la identificazione mistica col Tutto, per cui lo stesso piacere orgasmico è ‘ombra’ e pallido riflesso dell’estasi che si può cogliere quando la coscienza dell’uomo conduce quella Forza al luogo interiore della Trascendenza, il sahasrara.[13]

 

 

LA CINA

 

orbita microcosmica taoista

Anche nella tradizione cinese è ben presente una tecnica (anche qui con numerose varianti) finalizzata alla sublimazione delle energie psichiche in vista della realizzazione mistica.

Nel taoismo essa è presentata (spesso attraverso un complesso simbolismo alchemico) come un modo per ricondurre la coscienza umana al Principio unitario, il Tao, con la cui diretta conoscenza si supera la Diade del mondo manifesto, in cui interagiscono appunto due Forze: quella dello yin (energia ‘fredda’, generatrice, ‘femminile’, ‘energia vitale’, matrice del mondo ‘naturale’ e dunque ‘discendente’) e quella dello yang (energia ‘calda’ volta al ‘trascendente’, ‘maschile’, che spinge la coscienza umana oltre il mondo fisico, dunque ‘ascendente’).[14]

L’operazione di sublimazione taoista è quindi, nella sostanza, del tutto identica a quella indiana del kundalini yoga, considerato che in quest’ultima il ‘ricongiungimento’ con l’Assoluto, con il Brahman, avviene attraverso la riunificazione nella coscienza umana di due Forze, quella ‘naturale’ (la Shakty) ‘dormiente’ nel muladhara e quella ‘sovrannaturale’ presente nel sahasrara.

Nel Taoismo questo processo è descritto come la “risalita del Nettare (energia dell’essenza seminale) nel Fiore d’Oro (chakra coronale)”.

Per quanto detto l’alchimia cinese è anche definibile, dunque, come ‘lo yoga del Tao’.

La concordanza sostanziale tra la tradizione indiana e quella cinese risulta molto evidente a chi legga, ad esempio, l’opera del maestro taoista Chao Pi Ch’en (nato nel 1860) intitolata ‘I segreti della Natura Essenziale e della Vita Eterna’.[15]

In essa l’autore ha diligentemente raccolto le istruzioni di numerosi maestri del Tao cercando di delineare un percorso operativo unitario che possa valere anche per i praticanti moderni.

Il curatore dell’opera, Lu K’uan Yü, naturalmente, si è proposto di rendere intellegibile agli occidentali il testo originario trasponendone i termini ‘alchemici’ nei vocaboli e concetti corrispondenti propri della nostra tradizione ‘filosofica’; ad esempio, i vocaboli ‘piombo’ e ‘mercurio’ li ha resi nel loro significato proprio di ‘vitalità’ e ‘spirito’(distinzione corrispondente a quella greca tra psichè e nous).

Tutto il processo alchemico dello ‘yoga taoista’ consiste nello spostamento verso l’alto delle energie sottili facendole ‘risalire’ dal basso addome progressivamente sino al cervello lungo la parte posteriore del corpo (realizzando con ciò una loro ‘purificazione’), per poi ricondurle proprio nello ‘spazio della Forza’, cioè all’altezza degli organi sessuali, facendole scorrere  nella parte anteriore del corpo.

In tal modo si attua un’’orbitazione microcosmica’ dell’energia psichica ponendone in collegamento la parte ‘inferiore’, intimamente collegata alla struttura biologica, con quella ‘superiore’, collegata  invece con le dimensioni metafisiche ‘soprannaturali’.

In tal modo l’uomo può scoprire, realizzare, la sua ‘natura essenziale’ e divenire ‘immortale’.

Anche nel taoismo l’operazione mistica avviene attraverso l’uso dell’immaginazione attiva o semplicemente con lo spostare la coscienza lungo i luoghi corporei interessati, spesso in sincrono col processo respirativo.

Il parallelismo col kundalini yoga indiano è molto evidente.

“Lo scopo dell’alchimia taoista – afferma esplicitamente Lu K’uan Yü nella Prefazione  all’opera – è di impedire che la forza producente il fluido generatore segua il suo abituale corso..; non appena essa si muove per avere il suo sbocco usuale viene fatta tornare indietro, poi viene trasferita mediante una respirazione regolata nell’orbita microcosmica per venire sublimata. Questa orbita comincia alla base della spina dorsale, chiamata ‘prima porta’ (wei lu), sale lungo la colonna vertebrale raggiungendo la seconda porta, situata tra le reni (chia chi), e poi la nuca, chiamata ‘terza porta’(yu ch’en), prima di arrivare al cervello (ni wan). Discende quindi verso la faccia, il petto e l’addome da dove è partita, tanto da completare il circuito microsomico..; questo ha quattro punti cardinali: alla radice del pene, dove è raccolta la forza generativa, alla sommità della testa e in due punti nella spina dorsale fra quelli precedenti nella parte anteriore e posteriore del corpo, dove la forza generativa viene purificata durante l’orbitazione microcosmica”.[16]

L’inizio del processo di sublimazione avviene, dunque, come in India, alla base della colonna vertebrale laddove è situato, all’altezza della ‘prima porta’, il tan t’ien, cioè ‘il campo dell’elisir’, vale a dire dell’’agente alchemico’.

Pertanto in corrispondenza delle ‘tre porte’ ci sono altrettanti campi dell’elisir: il tan t’ien inferiore ove è situata la forza ‘generativa’(alcuni testi lo collocano esattamente a tre centimetri e mezzo sotto l’ombelico); più in altro c’è il tan t’ien mediano, all’altezza del plesso solare, dove la forza generativa viene tramutata in ‘vitalità’; infine, ancora più in alto, c’è il tan t’ien superiore o ‘cavità originaria dello spirito’, tra e dietro gli occhi, dove la vitalità viene sublimata in ‘spirito’.

I testi simbolicamente affermano che il tan t’ien inferiore può essere considerato come un fornello su cui è posto un caldaio, ma mentre il fornello mantiene sempre la sua posizione, il caldaio si sposta progressivamente, con l’aumentare del calore’, sempre più in alto.

Il significato è palese: la forza della concentrazione (il calore) suscita dal basso un’energia che, rimanendo l’origine prima e costante del processo, ascende mutando di qualità (a tali mutamenti  corrispondono le varie posizioni del caldaio).

Nel testo taoista da noi considerato si sottolinea, però, la necessità che prima ancora di attuare la circolazione dell’energia, bisogna acquisire la capacità di fissare il pensiero in un punto che corrisponde esattamente al ‘terzo occhio’ della tradizione indiana.[17]

Tale operazione viene chiamata ‘fissare lo spirito nella sua cavità originaria’, la quale, secondo l’insegnamento di Chao Pi Ch’en, si trova: “Sotto il cielo (al sommità della testa), sopra la terra (il basso addome), ad ovest del sole (l’occhio sinistro) e ad est della luna (l’occhio destro)”.[18]

Per il maestro è possibile, attraverso la concentrazione su quel punto e sull’atto respiratorio ‘fisico’(indicato come ‘respirazione postnatale’), trovarvi la sorgente del respiro ‘sottile’(indicato come ‘prenatale’) e quindi percepire nella sua purezza originaria quella energia che dovrà poi essere guidata nel processo di sublimazione all’interno dell’intero corpo.

Queste sono le sue istruzioni: “Sebbene questo vero soffio sia legato alla respirazione comune postnatale, questa, che va e che viene attraverso la bocca e le narici, non può raggiungere la cavità originaria dello spirito per tornare alla sua sorgente. Il soffio immortale che viene dal respiro interno vitale [la respirazione pranica indiana] e non attraverso il naso e la bocca, può allora tornare alla sorgente. La cavità originaria è nel centro del cervello, dietro il punto tra gli occhi. Lao Tsu lo chiamò l’adito che conduce al Cielo e alla Terra; così esortò a concentrarsi sul centro onde realizzare l’unità di tutte le cose. In questo centro v’è una perla della grandezza di un chicco di riso [la ghiandola pineale?], che è il centro fra cielo e terra nel corpo umano. Pertanto, durante l’addestramento entrambi gli occhi debbono volgersi all’interno verso il centro situato fra e dietro gli occhi onde trattenere questo Uno che deve essere tenuto nella cavità originaria dello spirito (tsu ch’iao) senza sforzo ma anche senza rilassamento… Se non si fa sorgere un solo pensiero, col tempo si giungerà ad uno stato di chiarità e di purezza. Nel vuoto completo dei dati sensoriali e nell’estrema calma si manifesterà una luce bianca a rischiarare il cuore vuoto e l’aureo meccanismo emetterà lampi di luce”.[19]

Avendo accumulato con la forza della meditazione l’energia sottile l’adepto può farla allora circolare nei due canali principali, facendola ascendere nel tu mo o ‘canale di controllo’collocato posteriormente , interno alla spina dorsale, e poi discendere nel jen mo o ‘canale di funzione’, collocato anteriormente:

Il processo viene così dettagliato dal maestro Chao Pi Ch’en:

“La lieve brezza [cioè il respiro ‘fisico’- sun feng] è l’inspirazione e l’espirazione postnatale attraverso le narici. Ogni assorbimento di aria fresca spinge verso l’alto la vitalità positiva nel canale tu mo: questa operazione viene chiamata ‘ascesa’. L’espirazione seguente allenta la pressione, così che la vitalità discende nel canale di funzione (jen mo); questa operazione viene chiamata ‘discesa’. Ogni ascesa avviene dalla base della spina dorsale al ni wan o cervello, e ogni discesa avviene dal cervello alla cavità della mortalità (shen szu ch’io, alla radice del pene)…liberando così tutti i canali psichici. Ciò fa sì che la natura essenziale (lo spirito) che è sopra si unisca alla vita (l’energia vitale) che è sotto. Questo è il processo di sublimazione”.[20]

Durante l’orbitazione è definito ‘fuoco positivo’ (yang huo) la forza che sale lungo il canale di controllo fino al cervello e ‘fuoco negativo’ (yin huo) quello che discende per il canale della funzione.

Nella tradizione iconografica cinese il drago rappresenta il ‘fuoco’ negativo discendente – yin e la tigre quello positivo ascendente – yang e le loro copula simboleggia la rivelazione dello Spirito Unitario originario.

Il fine di tale processo è non solo quello di condurre la coscienza del praticante nei mondi spirituali superiori ma anche quello di ‘costruire’ progressivamente un corpo sottile capace di uscire consapevolemente dal corpo sia in vita che, a maggior ragione, alla morte: in tal caso il ‘feto immortale’(chiamato anche ‘feto del Tao’ o ‘vero seme’) sarà capace di uscire ‘dalla porta celeste’ sita nella sommità del capo’ e di ‘apparire in innumerevoli corpi nello spazio’.

Tutto il processo che conduce alla formazione e all’egresso del ‘feto immortale’ è così descritto dal maestro Chao K’uei:

“Trasportate lo spirito positivo nel tan t’ien superiore (nel cervello) che è sotto la ‘porta celeste’ (la sommità della testa) e guardate interiormente per produrvi il fuoco divino. Con il fuoco dello spirito positivo nella testa, il praticante deve concentrarsi in silenzio su di esso, affinché il fuoco che sta sopra discenda e il fuoco che sta sotto ascenda; e affinché le cinque vitalità (sono quelle del cuore, della milza, dei polmoni, del fegato e dei reni) convergano nella testa e prorompano attraverso la cavità dello spirito (tra e dietro gli occhi) per raggiungere la sorgente (pai hui)[ il punto più elevato della volta cranica, che corrisponde esattamente al brahmarandra indiano]… allora il cervello sarà come un laghetto pieno di nettare aureo dalle increspature argentee”.[21]

A tal punto la coscienza può ‘esteriorizzarsi’ e lo spirito ‘corporificato’ dalla pratica meditativa può attuare senza pericolo l’egresso dal corpo ( a cui corrisponde in occidente la ‘proiezione del corpo astrale’ o del ‘corpo di luce’ della tradizione misterica, gnostica e neoplatonica).

Portato al suo grado più avanzato il processo consentirà all’iniziato persino di dissolvere il suo corpo, alla morte, trasformandolo in pura energia luminosa.[22]

LA GRECIA

statua_di_eros_che_incorda_l_arco

Eros che incorda l’arco

Naturalmente, anche la civiltà greca, nel suo luminoso percorso, ha sviluppato una propria dottrina e molteplici pratiche atte a sublimare le energie della psiche in funzione dell’esperienza mistica.

La teoria (e la pratica…) più famosa è quella che possiamo definire ‘filosofica’, nota come la ‘dottrina dell’Amore platonico’, illustrata dal celebre pensatore soprattutto in due dialoghi: il Fedro e il Simposio.

In questo tipo di via iniziatica la sublimazione non viene attuata, come in India e in Cina, attraverso visualizzazioni e tecniche respiratorie ma con un mutamento dell’orientamento esistenziale atto ad indirizzare l’energia dell’Eros verso le più alte mete ‘ideali’.

La via meno nota e meno documentata (per la sua stessa natura) è quella ‘cultuale’ e ‘rituale’ presente all’interno delle tradizioni esoteriche misteriche.[23]

In realtà, come vedremo, tale distinzione ha un valore molto parziale e, in qualche misura persino fuorviante, in quanto la stessa tradizione ‘filosofica’ circa la vera natura dell’Amore è riferita dal ‘divino’ Platone (non a caso l’unico filosofo greco che venne fregiato di quell’attributo…) ad una ‘rivelazione iniziatica’ fatta a Socrate da una sacerdotessa dei culti misterici, Diotima di Mantinea.

Costei, secondo il racconto del Simposio, introdusse il filosofo ateniese al ‘mistero d’Amore’ attraverso il racconto d’un mito, cioè un racconto fantastico ‘dietro’ il quale si celava ‘esotericamente’ un’occulta verità.

Esso narrava che Eros venne concepito quando gli dei fecero un banchetto per celebrare la nascita di Afrodite, la dea della Bellezza. Infatti durante la festa il dio Poros (il cui nome significa Abbondanza, Pienezza) ebbro di nettare si addormentò. Allora Penìa (la Povertà, la Mancanza), giunta alla fine del banchetto, spinta dalla fame e meditando sulle sue sciagure, volle generare un essere che non avesse il suo stesso destino; si pose accanto a Poros e rimase incinta d’Amore.

Per questo, raccontò Diotima, Eros “divenne compagno e seguace d’Afrodite” per essere stato concepito il giorno stesso della sua nascita ed “ecco perché per sua natura è amante del Bello”.

Amore, dunque, per la sua origine, è né completamente povero, né completamente ricco, ma aspira al Bello ed al Bene; è un ‘demone’, un ente intermedio tra il piano ‘umano’ del bisogno e del dolore e quello ‘divino’ dell’abbondanza, della felicità e della immortalità.

Presentandosi nel cuore dell’uomo come anelito, aspirazione, tensione, Eros rivela la sua natura non del tutto divina: gli dei, infatti, non mancano di nulla e per questo non conoscono sforzi, tormenti, dolore, miseria, malattia, morte.

Amore, invece, è sempre alla ricerca di qualcosa che possa placare la sua ‘sete’, sopperire alla sua condizione di ’privazione’.

L’uomo, anche attraverso la sua ‘innata aspirazione’ al Sapere e alla Conoscenza, cerca ‘oscuramente’ , al di là del nostro mondo materiale, il Bello in sé, il Bene in sé ed il Vero in sé, cioè la condizione immortalità felice in cui vivono gli dei.

Per questo Eros è ‘filosofo’e si può anche dire che la Filosofia è ‘animata’, ‘vivificata’ dall’Eros.

Tuttavia, solo l’uomo saggio (sophόs) comprende che i beni e le persone di questo mondo, per loro natura, solo in parte possono ‘incarnare’i valori sommi a cui Eros aspira.

Egli deve, per Diotima, far salire l’anima lungo una ‘scala’ che la condurrà alla sua vera essenza spirituale ed universale.

Sette sono i suoi gradini (lat. gradus):

1)      Tutto il processo inizia, naturalmente, dall’amore ‘fisico’ per una bella persona;

2)      si deve poi passare, ascendendo, all’amore per una bellezza colta come una ‘qualità’ non inerente una sola persona ma diffusa e ‘partecipata’ in diverse d’esse. In tal modo si pone in atto un primo processo di ‘disindividializzazione’ e, in qualche modo, di ‘smaterializzazione’ dell’eros, ormai non più ‘fissato’su un singolo ente;

3)      al terzo ‘grado’ l’eros va volto ad un buon carattere, alle qualità, diremmo noi, ‘morali’ di una persona;

4)      al quarto ci si volge con amore alle attività umane (dunque non più ad enti ‘fisici’) utili alla polis (è un ulteriore grado della spiritualizzazione dell’eros);

5)      al quinto esso si deve orientare verso le leggi (naturalmente le ‘giuste’ leggi), considerate evidentemente come le condizioni necessarie per la pacifica convivenza tra gli esseri umani;

6)      al sesto grado si riferisce l’amore per la Conoscenza (‘le varie scienze’) che qualifica l’essere umano nella sua dignità ‘razionale’ ed è la porta di accesso al sapere mistico metarazionale;

7)      Infine, al settimo, l’eros si deve volgere , nel silenzio ‘mistico’ della mente, alla Bellezza Suprema, al Bello in sé, ’che non nasce e non muore’, che s’identifica con il Bene assoluto, vale a dire: con l’Uno.

Così, infatti, si rivolge Diotima a Socrate, secondo il racconto che egli ne fa nel Simposio, al momento culminante della rivelazione del segreto misterico:

“In queste vicende d’amore, forse, anche tu, Socrate, potresti essere iniziato. Ma ai misteri più alti e perfetti, in virtù dei quali esistono anche queste, non so se tu ne sia in grado, a condizione che si vada avanti con correttezza.

Te ne parlerò dunque”, disse, “e nulla tralascerò dell’impegno: e tu cerca di tenermi dietro, per quanto sta in te.

Chi intende muoversi a questa volta deve infatti cominciare finché è giovane ad andare verso i corpi belli, e in primo luogo, se guida bene colui che lo guida, amare un solo corpo e qui far venire alla luce bei discorsi, poi deve arrivare a capire che la bellezza che si trova in un corpo qualunque è identica a quella che si trova in un altro e che, se deve seguire il bello che è in ogni aspetto, sarebbe grande stoltezza non comprendere che una sola, e la stessa, è la bellezza che si trova in tutti i corpi.

Quando abbia ben capito questo, deve divenire amante di tutti i corpi belli, e attenuare lo slancio eccessivo verso uno solo, quasi disprezzandolo e giudicandolo poca cosa; dopo di questo deve ritenere che la bellezza insita nelle anime è da tenere in maggior conto di quella che è nei corpi, tanto che, se uno nell’anima è ben appropriato, anche se ha poco fiore, ne sia contento e lo ami e lo curi e concepisca discorsi adeguati e cerchi proprio quelli che sono in grado di rendere migliori i giovani, perché sia trascinato a considerare di nuovo il bello che è nei modi di comportarsi della vita e nelle leggi e a osservare questo, che tutto ciò è a lui congeniale perché possa capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cosa ben da poco.

Dopo ai modi di comportarsi nella vita occorre condurlo alle conoscenze, perché ne intenda la bellezza, e considerando ormai ogni aspetto del bello, e non più quello che si trova presso uno solo, come un servo, amando la bellezza di un ragazzetto, o di un uomo, o di una sola condotta di vita, venendo così a servire scioccamente e con grettezza d’animo, ma come volgendosi all’immenso mare del bello e prendendone ammirazione crei molti belli e stupendi discorsi e meditazioni in una aspirazione a una saggezza che non provochi invidia, finché, colmo di forza e cresciuto, giunga a vedere un tipo unico di conoscenza di tal fatta, che è quella del bello nel modo che segue.

Cerca dunque di volgere qua la mente per quanto ti è possibile.

Chi dunque venga guidato fino a questo livello nelle vicende d’amore vedendo l’un dopo l’altro e direttamente gli aspetti del bello, andando ormai al termine delle conoscenze d’amore, all’improvviso scorgerà una bellezza, stupenda per la qualità, quella appunto, Socrate, a causa della quale avvennero tutte le fatiche di prima; innanzitutto bellezza che sempre esiste, che non nasce e non muore, che non cresce e non declina, poi che non è bella in parte e in parte brutta, né ora si, ora no, né bella da una lato e brutta dall’altro, né bella qua e brutta là, come se fosse bella per alcuni e per altri brutta.

Né a lui si potrà rappresentare questa bellezza come un volto, mani, o alcun altro membro del corpo, né un discorso, né una conoscenza, né come un qualcosa che sia in un altro differente da lei, quale in un essere vivente, in terra o in cielo, o in qualche altro luogo, ma come essa è in sé e per sé, con sé, essendo sempre in un solo aspetto, mentre tutte le altre bellezze hanno parte di lei, in modo tale, ad esempio, che mentre le altre sorgono e si dileguano, in nulla essa diviene né più grande né più piccola, e nulla subisce.

Sì che, quando una di queste nostre vicende salendo attraverso il giusto amore per i giovanetti, comincia a scorgere questa bellezza, comincia ormai a toccare il proprio fine.

Questo è il giusto procedere sulle cose d’amore o esservi guidati da un altro, cominciando dalle bellezze che si trovano qua, e in nome della bellezza in sé salire, come ci si servisse di gradini, da uno a due, e da due a tutti i corpi belli, e dai corpi belli ai bei modi di comportamento, e dai modi di comportamento ai begli apprendimenti, e dagli apprendimenti giungere a quell’apprendimento estremo, che altro non è se non l’apprendimento di quella bellezza, e concludere conoscendo cosa è quella bellezza in sé.

Questo è il punto della vita, se mai ve n’è qualcun altro, che deve essere vissuto dall’uomo, proprio quando egli contempla la bellezza in sé.

E se mai riuscirai a vederla, non come ora, vesti, bei fanciulli e giovanetti, ti sembrerà che essa sia, vedendo i quali ora sei colpito e sei pronto, tu e parecchi altri, pur di vedere questi vostri desideri e di stare sempre con essi, se mai fosse possibile, a non mangiare né a bere, ma ad ammirarlì soltanto e a starvene con essi.

E cosa pensi mai che accadrebbe a uno se vedesse la bellezza in sé, genuina, pura, non mescolata, non incorporata di carni umane né di colori e di ogni altra vacuità mortale, ma potesse contemplare in sé la bellezza divina, nel suo unico aspetto?

Pensi che fosse una vita da nulla quella di un uomo che la fissasse con lo sguardo e la contemplasse con quello con cui si deve contemplare, e con essa avesse convivenza senza fine?

O non pensi piuttosto che soltanto lì, guardando la bellezza per quello in cui si lascia vedere, gli avvenga di generare non immagini di virtù, perché non è una parvenza che egli tocca, ma la vera virtù, perché è il vero che egli tocca; e generando vera virtù e nutrendola, potrà accadergli di essere caro agli dèi, e, se mai ad altro uomo, potrà toccare a lui di essere immortale?”.[24]

Sempre nel Simposio Platone mette in bocca a Pausania il racconto d’un mito ‘sapienziale’ secondo il quale la natura dell’amore è duplice perché in realtà esistono due Veneri: l’una nata dea Urano e per questo denominata ‘urania’, cioè ‘celeste’, l’altra, più giovane è invece figlia di Giove e di Dione, denominata ‘pandemia’, cioè ‘volgare’. Questa conduce l’uomo alla pura concupiscenza dei corpi, l’altra invece lo guida alla comunione spirituale.[25]

Dal punto di vista esoterico è chiaro che anche questo mito aveva la funzione di ‘insegnare’ la distinzione tra l’eros che si ‘fisicizza’ (volgare) e quello che si ‘sublima’ (celeste).

Ma che tipo di Forza è quella di Eros, quale ne è l’origine e come si manifesta nel corpo, qual è il suo legame con l’altra Forza presente nella psiche umana, quella del Logos?

La dottrina di Platone sull’anima, (identica – nell’ammettere un suo principio immortale – a quella misterica eleusina, bacchica, orfica e pitagorica) intende rispondere a quegli interrogativi.

Per conoscere ‘sperimentalmente’ la vera natura dell’anima bisogna conoscerne le varie ‘parti’ e le relative ‘potenze’.

Osservandosi è facile distinguere all’interno di essa diverse ‘funzioni’ e diverse ‘qualità’ collegate  a distinte ‘parti’ del nostro corpo, la cui ‘energia’ è appunto l’anima.

Platone, che nel giovanile dialogo intitolato Fedone l’aveva indicata complessivamente come la parte immortale che si contrappone al corpo mortale, in un’opera più tarda, il Fedro, dà una descrizione più articolata di essa.

Attraverso un mito ( o, meglio ancora, un’allegoria), quello celebre della ‘biga alata’, ne indica la natura tripartita: l’anima, egli dice, è come un cocchio alato che un auriga tenti di far salire verso il cielo. Il conducente stringe nei pugni la pariglia cercando di guidare verso l’alto due cavalli: l’uno, di buona razza, capace di assecondare l’auriga nel suo voler procedere verso il cielo, l’altro, di pessima razza, che tende invece a far precipitare verso il basso la biga.

L’uomo che la guida, così illustra la sua metafora Platone, rappresenta la facoltà razionale  che ha il compito di ‘orientare’ le emozioni (il cavallo buono) e di contrastare duramente le passioni (il cavallo cattivo).

Esiste dunque una ‘naturale’ gerarchia delle tre componenti dell’anima e solo rispettandola l’uomo può realizzare la sua vera natura spirituale.

La componente più bassa è chiamata epithymetikόn, giacché epithymía in greco significa appunto ‘brama istintiva’, quella mediana è indicata col termine thymoeidès, poiché thymόs indica la forza vitale ed il coraggio (l’elemento emozionale), quella superiore logistikόn, attributo sostantivato riferito alla ragione, il lόgos.

Ognuna di queste componenti è caratterizzata da specifici desideri e piaceri mirando rispettivamente al soddisfacimento degli impulsi più legati alla fisiologia (fame, sete ed impulso sessuale), la mediana alla competizione e acquisizione di onori, la superiore al sapere.

“Poiché tre sono gli elementi dell’anima – sostiene il filosofo nella Repubblica – tre mi appaiono anche i tipi di piaceri, uno per ciascun elemento. E così dicasi per gli appetiti e i governi. La prima  (e più elevata) funzione, diciamo, era quella che all’uomo fa apprendere, la seconda quella che fa provare sentimenti animosi; alla terza, per la pluralità dei suoi aspetti, non abbiamo potuto applicare un unico nome che la caratterizzasse, ma l’abbiamo denominata in base al suo carattere più importante e forte. L’abbiamo chiamata ‘appetitiva’ per la veemenza dei suoi appetiti in fatto di mangiare, bere, amare e ogni altra consimile passione; e poi amante del denaro, perché tali appetiti si appagano specialmente col denaro”.[26]

Orbene, anche per Platone gli impulsi psichici che vengono dalle diverse parti dell’anima possono semplicemente contrastarsi tra di loro (come accade nel non-iniziato) al punto di non rispettare la loro naturale gerarchia, oppure possono essere armonizzati dalla ragione e convogliati verso l’alto a ‘nutrire’, per così dire, la coscienza, dandole quella energia che è necessaria per procedere oltre il mondo fisico.

La consapevolezza razionale ( il lόgos) ha il potere di ‘guidare’ l’Eros (termine con cui, quindi, si designano tutte le energie psichiche non razionali) ‘verso l’alto’ e quindi ‘sublimarlo’, dal piano terreno alla dimensione metafisica del mondo ‘iperuranio’.

Eros, dunque, è un impulso che sarebbe cieco senza la guida del logos; a sua volta, il logos sarebbe impotente senza l’energia dell’eros.

Per questo Platone dice spesso (con una metafora che ama molto) che l’anima, guidata dalla ragione, ‘deve mettere le ali’ cosicché evolva da passione a sentimento e poi ancora ad aspirazione cognitiva.

Per Platone saggio è colui che sa orientare opportunamente gli impulsi dell’eros, il quale va considerato quindi come un ‘fondo di energia’ canalizzabile dalla coscienza:

“Il movimento ascensivo dall’attrazione per la bellezza sensibile al Bello ideale che ha luogo lungo la scala amoris presuppone un processo di riorientamento degli impulsi dell’anima… Infatti, i tre appetiti al cui predominio corrispondono i tre possibili generi di vita non sono fattori distinti ed irriducibili, che risiedono in tre parti separate dell’anima, ma manifestazioni di una singola forza o fondo di energia che si può indirizzare in direzioni differenti, verso differenti fini. D’altronde questo fondo non è illimitato, e coltivare una direzione, rafforzando un determinato tipo di desideri, equivale a trascurare e indebolire l’altra.”[27]

Il fatto che l’Eros sia un flusso di energia psichica che diversamente ‘convogliato’ dà luogo a tipi umani diversi e persino opposti, così come l’importanza del processo educativo nel determinare le ‘vocazioni’ e sensibilità individuali, risultano con chiarezza da un passo della Repubblica:

“Dunque chi realmente ama – afferma il filosofo – deve apprendere, fin da fanciullo, a desiderare più che può tutta la verità. Sappiamo tuttavia che nella persona in cui i desideri sono fortemente inclinati in un senso, essi sono più deboli negli altri sensi, come una corrente lì convogliata. Analogamente, in colui i cui desideri siano fluiti verso il sapere in ogni sua forma, questi desideri – credo- avranno a che fare con il piacere che l’anima prova per se stessa, a scapito dei piaceri che essa prova mediante il corpo: se, beninteso, costui intenda essere amante della sapienza non per finta ma davvero”.[28]

Per comprendere pienamente e conclusivamente il processo sublimativo platonico bisogna aggiungere a tali osservazioni quanto il filosofo ha precisato in un’opera più tarda, il Timeo, circa la correlazione tra il corpo e le varie parti dell’anima.

Egli vi sostiene che le tre diverse ‘forme’ interne all’unica psiche dell’uomo sono correlate a tre distinte parti del corpo: quella ‘appetitiva’ la più ‘bassa’ e ‘passionale’ è correlata al ventre, quella ‘emozionale’ al petto, quella ‘razionale’ alla testa.

Con il processo di sublimazione dell’eros vanno sottratte energie alle parti basse e portate in alto per radicare l’io nel mondo dello spirito.

Così egli si esprime nel Timeo ricordando che l’uomo è come un albero che ha però le sue radici nel cielo:

“Secondo quello che più volte abbiamo detto, le tre specie dell’anima furono [dal dio] collocate in tre sedi diverse… Per quanto riguarda quella specie più importante della nostra anima, dobbiamo pensare che il dio l’ha donata a ciascuno di noi come uno spirito tutelare, la quale, come diciamo, abita sulla sommità del nostro corpo , e ci solleva dalla terra verso la nostra affinità celeste, come piante celesti e non terrene: e queste nostre affermazioni sono giustissime. Infatti in quella parte più alta da cui l’anima ebbe la sua prima origine, la divinità sospese la testa e la nostra radice… [e chi ricerca la verità] mantiene in ordine il divino che abita in sé. Dunque la cura adeguata a tutte le parti dell’anima è una sola, e cioè dare a ciascuna parte nutrimento e movimenti (piaceri) che di più le si adattano. E i movimenti che sono affini alla divinità sono i pensieri (l’attività razionale)”.[29]

Eros è dunque la Forza vitale istintivo-emozionale che, ‘compresa’ e guidata dalla ragione, cioè ‘sublimata’,  può collegare ciò che è in basso con ciò che è in alto per il suo innato, ‘ strutturale’, impulso metafisico.

Infatti l’anima ‘incarnandosi’(scendendo dal mondo ulltracosmico, cioè ‘iperuranio’) si particolarizza nello spazio-tempo ed entrando in un corpo assume una ‘personalità’ con cui illusoriamente s’identifica; ma la ‘persona’, per quanto detto, è solo una ‘maschera’(è questo appunto il senso del termine in latino) dietro cui si cela il ‘volto’, cioè la vera ‘individualità’ preesistente alla nascita e sopravvivente alla morte.

Anche nella tradizione filosofico-esoterica occidentale, del resto, è ben testimoniata la credenza in un corpo sottile dell’uomo, definito augoidès (cioè che ha la forma -eidos- fatta di luce- aughè) o astroeides (l’aspetto di un astro- ástron eidos); in taluni casi lo si definisce semplicemente pneuma (cioè ‘soffio vitale’) o soma pneumatikόn (corpo fatto di soffio sottile) e lo si dichiara capace sia di sopravvivere alla morte sia di riapparire ai viventi con le sembianze della vecchia forma corporea. In tal caso lo s’indicava in Grecia come eidolon (immagine), phántasma o skiá (ombra) e presso i latini con i termini corrispondenti di imago, simulacrum, umbra.[30]

 

Nella vita ‘terrena’ la coscienza dell’uomo può del tutto dimenticare la sua vera origine e natura, ma se cerca in se stessa con intelligente ardore può ‘risalire alla fonte’; ma per ottenere ciò deve ‘ascendere’, ‘elevarsi’ allentare sempre più la ottusa connessione col corpo e capire la molteplice natura dell’eros.

Ma tale atto di comprensione non va confuso con uno schematismo concettuale poiché può avvenire solo con una intuizione interiore, con una percezione sottile della propria intima struttura energetica.[31]

Anche per Platone la conoscenza metafisica presuppone il volgere la coscienza su se stessa isolandola dalle sensazioni e dagli stessi pensieri.

Se si è capaci di tanto, si scopre, si ‘percepisce’, che in basso, nel ventre, eros è fame e appetito sessuale, voracità e brama di congiungimento ‘carnale’ che degenerano facilmente in forme di belluina passionalità come golosità, violenza e ‘degradante’ lussuria; ascendendo diventa affettività, socialità; poi ancora più su si trasmuta in desiderio ‘alto’ di conoscenza razionale, infine (uscendo ‘fuori dal corpo’: si pensi al samadhi dello yoga conseguito nel sahasrara) si sublima ‘spontaneamente’ nell’estasi mistica sovrarazionale con cui l’ anima entra nel mondo ‘divino’ e l’eros trova infine il suo appagamento nella ineffabile fusione con l’Uno/Tutto .[32]

CONSIDERAZIONI FINALI

 

A conclusione ci sembrano opportune delle brevi considerazioni almeno su cinque temi: 1) quello concernente gli specifici presupposti, difficoltà e pericoli delle pratiche esposte secondo gli antichi testi; 2) quello che riguarda l’importanza di entrambe le fasi (di ascesa e di discesa) nello svolgimento del processo; 3) quello sulla differenza tra la sublimazione metafisica (esoterica) e la pratica della castità religiosa (essoterica); 4) quello relativo alle differenze tra il concetto di sublimazione in Freud e Platone; 5) quello, infine, della ‘naturalità’, vale a dire della ‘spontaneità’, del processo sublimativo.

1) Va posto in risalto il fatto che molte opere antiche hanno insistito (giustificandone così la segretezza) sulla pericolosità di pratiche sublimative agenti sin dall’inizio sulla libido da parte di persone prive di una guida qualificata e di capacità interiori specifiche. I prerequisiti indicati per la pratica sono tali da poter essere considerati come sostanzialmente assenti nell’uomo contemporaneo, la cui consapevolezza è totalmente ‘fisicizzata’, incapace cioè di una percezione intuitiva delle forze sottili messe in azione.

L’impatto di una libido suscitata ed intensificata da pratiche respiratorie, visualizzazioni e quant’altro, può essere dissolvente per l’io ordinario e per la stessa struttura fisica del praticante.[33]

All’uomo ‘ordinario’, prodotto dalla cultura e civiltà attuali, è consigliabile una più lenta ma sicura via ‘meditativa’, cioè ‘un’apertura dall’Alto’, con cui si creino quelle condizioni interiori che, nell’insieme, devono essere considerate come il necessario presupposto per la pratica sublimativa.

In effetti le tre doti che la stessa tradizione tantrica della kundalini (non diversamente da quella yoghica patanjaliana e vedantica) indica come necessario presupposto sono shradda, virya, vairagya, cioè ‘fede’(nel senso di una incrollabile determinazione), ‘forza’(nel senso di intrepido coraggio) e ‘distacco’ (nel senso di saper prendere le distanze da ogni effimero piacere sensuale).

Non c’è chi non capisca che queste tre doti preliminari sono, per l’uomo ‘ordinario’ contemporaneo, delle qualità da acquisire faticosamente, cioè dei ‘compiti’, e non certamente  condizioni innate.

Di conseguenza va stigmatizzata come del tutto incongrua e persino pericolosa la diffusa utilizzazione della tradizione tantrica (soprattutto nell’occidente moderno) nel senso di un degradante ed aberrante magismo.[34]

2) Se si considerano nel complesso i testi delle varie tradizioni sul tema della sublimazione, è indubbio che l’enfasi è posta soprattutto sulla prima fase, quella ‘attiva’ dell’aspirazione, cioè dell’orientamento della coscienza verso la trascendenza; ma è evidente che è altrettanto importante il movimento al contrario, quello verso ‘il basso’, la fase ‘passiva’, quella dell’’immanenza’, da attuare dopo che la energia è stata ‘purificata’.

Alla prima fase corrisponde la tensione verso il ‘divino’, alla seconda la ‘distensione’ di chi si fa ‘permeare’ dalla forza divina.

L’enfasi sulla prima fase può avere, quindi, una ragionevole spiegazione; infatti con il primo movimento la coscienza ‘incarnata’ esce dall’illusione che la sola realtà sia quella ‘empirica’ e ‘riscopre’ la sua origine metafisica, è dunque la fase da cui – stante la condizione umana –  bisogna iniziare e per tal motivo è anche determinante ed imprescindibile.

Con il secondo ‘movimento’ l’energia dell’anima – divenuta ‘forza spirituale’ da istintiva ed emozionale che era proprio in virtù della sublimazione – deve ‘informare’ la dimensione corporea al punto tale che il vissuto concreto della persona sia ispirato dai più nobili principi etico-razionali e si acquisiscano per di più poteri extra-normali di controllo sulla stessa dimensione materiale.

L’evoluzione spirituale individuale così realizzata ha anche una rilevante funzione sociale

In tal modo, ad esempio, nel sistema platonico l’individuo ripristinando la ‘naturale’ gerarchia (letteralmente: l’ordine sacro) delle varie ‘parti’ o ‘funzioni’ dell’anima, contribuisce anche a creare un simmetrico ordine nella società (nella pόlis). In questa, infatti, secondo il filosofo ateniese, al vertice devono, secondo ‘giustizia’(cioè secondo l’ordine strutturale delle cose) essere collocati i ‘sapienti’ (guidati dalla pura ragione spirituale) e sotto di essi devono svolgere le loro specifiche funzioni i ‘guerrieri’ (incaricati di difendere anche con le armi lo Stato) ed infine i ‘produttori’ (il cui compito è di provvedere alle necessità ‘fisiche’ della società).[35]

3) Risulta evidente, per quanto detto, che la prescrizione dell’astinenza sessuale radicale (presente ad esempio, anche nella tradizione induista in cui è indicata col termine brahmacharya) assume ben diversi significati a seconda che sia inclusa in una tradizione esoterica ‘metafisica’ o in una essoterica meramente ‘religiosa’.

Nella prima essa indica solo la necessità operativa ( la cui ‘misura’ ed il cui grado di efficacia non possono che essere ‘individuali’) di trasmutare ‘progressivamente’ le energie ‘somatiche’ per farle così diventare ‘spirituali’; nella seconda, invece, essa ha un valore prescrittivo di carattere ‘generale’ (cioè applicabile e diretta a tutti indifferentemente) di cui non si dà una vera spiegazione.

La ‘scienza’ esoterica della sublimazione, invece, implica il fatto che un’astinenza sessuale radicale può non comportare i rischi ‘freudiani’ dell’inibizione ‘patogena’ solo nel caso e nella misura in cui un praticante sappia ‘operativamente’ sublimare l’energia libidica.

Per la parte ‘eccedente’, cioè quella non sublimata, è necessaria, evidentemente, una ‘dis-tensiva’ esteriorizzazione fisiologica.

Non aver compreso (o accettato…) il meccanismo della sublimazione, ha spinto molte tradizioni ‘religiose’ (e per ciò stesso ‘essoteriche’) a prescrivere l’astinenza nella forma più radicale anche ad individui che sono ben lungi dal poterla praticare, innescando, così, una conflittualità interiore ‘patogena’.

In tale contesto (e nei limiti su indicati) sono del tutto accettabili le obiezioni della psicanalisi alla sessuofobia di matrice religiosa.

Freud, come s’è visto, ha ben compreso (proprio sulla base della sua pratica medica) che la quantità di energia sublimata e sublimabile (e quindi ‘sottraibile’ alla scarica organica) varia da individuo ad individuo in relazione al suo temperamento, alla sua intelligenza, alla sua ‘idealità’, alla sua ‘educazione’, al suo contesto culturale.

L’esperienza della scienza psicologica (anche nelle sue forme di ‘psicanalisi’ e ‘psichiatria’) dimostra ad abundantiam che solo una morale sessuale basata né sull’ascetismo né sul sensualismo estremi può garantire alla psiche ed al ‘soma’ un sereno e stabile equilibrio.

Insomma, per l’uomo ‘comune’ la norma deve essere quella della moderazione , della temperanza e non certo quella dell’ascesi estremistica.

L’astinenza, dunque, può essere praticata solo nella misura in cui l’individuo sappia ‘progressivamente’ sublimare la sua energia psichica; in tal caso il brahamacharya non è una prescrizione ‘esteriore’ estensibile a tutti ma una misura d’equilibrio ‘interiore’ che ‘matura’ e si ‘evolve’ nella psiche con la pratica della sublimazione in modo del tutto spontaneo, vale a dire ‘non conflittuale’. Grado a grado e nella misura in cui viene sublimato l’impulso sessuale diviene anche meno ‘costrittivo’, meno ‘compulsivo’ sull’intero organismo psicosomatico per cui il brahamacharya va inteso più come effetto che come causa.[36]

4) Bisogna riconoscere a Freud il merito di aver riproposto all’attenzione della cultura occidentale un tema, quello appunto della sublimazione delle energie psichiche, che con la nascita della scienza positivistica moderna (di origine cartesiana) sembrava appartenere solo al passato e  ad una cultura ‘irrazionalistica’ d’impronta metafisico religiosa.

Il nostro studio dovrebbe aver dimostrato che proprio Freud, con le sue intuizioni, ha di fatto contribuito al superamento della riduttiva prospettiva positivistica da cui lui stesso muoveva e a cui ha cercato per tutta la vita di rimaner fedele.

Dopo la psicanalisi, infatti, nessuno può più dire che i fatti psichici siano meno ‘reali’ di quelli ‘fisici’.

Nonostante i suoi limiti ‘scientistici’, egli ha comunque  ‘riscoperto’, almeno parzialmente, alcune ‘verità’ che la tradizione esoterica aveva già affermato nei millenni precedenti.

Egli ha ‘riscoperto’ e riproposto la teoria che nella psiche umana esistono diversi livelli, diverse ‘modalità’ di energia; di una energia non meccanica, non visibile, ma reale perché inconfutabilmente operante nel vissuto individuale e sociale.

Egli ha altresì capito che le energie libidiche di fatto possono essere, per così dire, ‘traslate’; possono passare dal piano meramente ‘biologico’, ‘somatico’, ad un piano più ‘elevato’ e quindi divenire forze propulsive ‘valoriali’.

In tal modo la sublimazione opera una ‘rimozione’ e diminuisce o scompare l’effetto tensivo e patogeno delle energie allorché queste rimangono ‘inespresse’ nel corpo.

Quando, infatti, esse non vengono così orientate o ‘liberate’ fisiologicamente si verifica, secondo il medico austriaco, una tensione psicofisica capace d’indurre sul piano psichico nevrosi e psicosi e su quello fisico sia disturbi funzionali che, con una ulteriore involuzione, malattie organiche.

In tal modo egli ha posto ‘solidamente’ le basi della moderna medicina psicosomatica, la cui idea di fondo , però, quella cioè che l’anima può far ammalare il corpo (o guarirlo), è antica quanto l’umanità…

Ma questo è stato il limite di fronte al quale s’è fermato il medico positivista Freud (e dove, per così dire, ‘finiscono i suoi meriti’in relazione al nostro tema).

Ciò che gli è sfuggito, anzi, per dir meglio, che ha esplicitamente rifiutato, è il concetto ‘antico’ di ‘sublimazione’ (storicamente ‘incarnato’ in occidente proprio da quell’alchimia dal cui ambito proviene il termine) basato sulla possibilità che proprio essa, se intensificata e condotta correttamente, può condurre la coscienza umana oltre il mondo del visibile.

A differenza di quella freudiana (e psicanalitica in generale) la sublimazione di Platone vede la ‘radice’ della psiche (vale a dirne l’’essenza’, il ‘fondamento’) ‘in alto’, non ‘in basso’; per cui essa non è da interpretare come una trasmutazione delle energie operata dall’inconscio stesso e finalizzata semplicemente a consentire la vita sociale dell’uomo e persino la sua attività di civilizzazione.

Per Platone tutte le attività spirituali ‘dimostrano’  e ‘manifestano’ la vera essenza della coscienza umana che non è interpretabile ‘meccanicisticamente’, vale a dire ‘naturalisticamente’, perché essa è ‘materiata’ di consapevolezza, volontà, immaginazione,memoria, creatività, cioè di facoltà non solo non sono legate a processi ‘deterministici’ ma che ne costituiscono persino l’antitesi, così come la libertà ha il suo contrario nella necessità.

E’ inoltre evidente che proprio le facoltà ‘spirituali’ sono alla base di qualsiasi costruzione ‘culturale’ e ‘civile’ dell’uomo.

Per il filosofo ateniese solo con una razionalità orientata metafisicamente si diviene consapevoli della vera origine di un processo che comunque è da considerare talmente ‘strutturale’ e ‘congenito’ nella psiche umana che  la coscienza lo pone in atto continuamente anche nel caso in cui avvenga (come nel caso di un artista ‘invasato dalla mania creativa’) al di là della lucida consapevolezza individuale.

Per questo non è improprio affermare che l’impulso della sublimazione è il ‘mistero’ dell’arte, dell’etica, della religione e, naturalmente, della stessa filosofia, vale a dire dello loro ‘forza d’ispirazione’.

Al contrario di Freud, per il filosofo greco la sublimazione può (e deve…) essere, quindi, sia una scelta ‘esistenziale’ che un’operazione interiore lucida ed intenzionale con cui la coscienza, il lόgos, ‘intuisce’ la vera natura del suo ‘io’ svincolandolo dal piano spazio/temporale delle sensazioni e dei pensieri, come nello yoga.

Tale pratica di ‘separazione’, ‘distacco’, favorisce l’innata tendenza dell’eros alla suprema ‘identificazione’ con l’Uno-Tutto, cioè col suo stesso Bene.

La differenza con Freud è quindi molto netta poiché per il padre della psicanalisi esiste solo l’inconscio ‘inferiore’ (l’Es) e non anche quello ‘superiore’, come invece ammette la moderna psicologia transpersonale.[37]

Filosoficamente si può affermare che, in rapporto alla singola individualità, tale Uno (che possiamo definire indifferentemente come il Bello in sé, il Bene in sé, il Vero in sé e ritenere come l’ oggetto ‘vero’ dell’appetizione dell’eros) è da considerare nel contempo immanente e trascendente.

Infatti è evidentemente ‘trascendente’ all’inizio del processo – in quanto percepito come ‘altro da sé’, essendo ancora la coscienza limitata nello spazio-tempo delle forme empiriche – per poi divenire ‘immanente’ alla fine del processo d’identificazione mistica, grazie alla quale l’io individuale ‘riconosce’ la sua origine ed il suo fondamento ‘universale’.

Di conseguenza, quella ‘sublimazione’ che per Freud è sostanzialmente una ‘rimozione’, per Platone è invece lo ‘strumento’ di ogni possibile evoluzione spirituale.

Secondo il filosofo non è solo il logos  che manifesta la natura ‘divina’ dell’uomo producendo l’arte, la religione, la filosofia, le leggi, la morale, la scienza, insomma tutto ciò che l’uomo ‘crea’ nel suo processo d’incivilimento, ma anche l’Eros.

Se il lόgos rappresenta, infatti, l’energia ‘trascendente’ dello Spirito l’eros, proprio nella sua inquietudine, nel suo essere sempre ed ineluttabilmente inappagato dal conseguimento di qualsiasi ‘oggetto’ contingente ed empirico, va considerato come la sua ‘energia’ ‘immanente’, anch’essa orientata ‘occultamente’ verso quell’Assoluto da cui tutto proviene.

5) Va sottolineato, infine, il concetto che il processo di sublimazione è pur sempre  ‘spontaneo’ in quanto attivo nella ordinaria dinamica della psiche umana. Esso, infatti, è operante anche a prescindere dalla conoscenza individuale della connessa ‘sapienza esoterica’.

Poiché inoltre, come s’è detto, uno dei principi fondamentali della tradizione iniziatica è quello secondo il quale l’energia psichica ‘va’ dove si sposta la coscienza, accade sovente che in alcune persone tale processo si verifichi  anche ‘al di fuori’ della soglia della lucida consapevolezza individuale.

E’ spesso il caso di coloro che semplicemente si dedichino ad attività lato sensu ‘spirituali’, cioè di natura artistica o morale o religiosa o intellettuale e che in tal modo spostino  di fatto, inconsapevolmente, l’io verso i ‘piani alti della coscienza’.

Per tal motivo non è un caso che individui geniali d’ogni tempo e di ogni cultura hanno dichiarato  che durante il processo di creatività si sono sentiti come ‘agiti’, ‘guidati’ da una Forza misteriosa di natura a loro ignota, ma senz’altro ‘sovrumana’.

In essi si è manifestata ‘spontaneamente’ (ma proprio per tal motivo ‘sporadicamente’ e ‘parzialmente’ in quanto al di fuori di qualsiasi controllo da parte del loro ‘io’) quella ‘Luce del Sé’  (o comunque la si voglia definire) che la prassi esoterica consente invece di attivare scientemente attraverso la canalizzazione della energia psichica verso i chakra superiori.

Il contatto dell’io con la propria energia sublimata, o con la dimensione superiore a cui essa ontologicamente appartiene, determina quello status della coscienza che si suole indicare col termine ‘ispirazione’.

In tale condizione l’uomo sente ‘d’in-carnare’ una Forza ed una Coscienza più ampie e più ‘luminose’ rispetto a quelle che sperimenta nella sua vita psichica ordinaria.

Nello stato ispirativo l’Energia ‘guida’ l’artista all’espressione del Bello, il filantropo all’azione orientata verso il Bene, l’intellettuale alla disinteressata ricerca del Vero.

Ma poiché tale Forza è presente anche nel profondo dell’io di ciascun individuo a volte è indicata da chi la ‘sperimenta’ come ‘esterna’, a volte anche come ‘interna’.

Per questo nella tradizione mistica sia religiosa che esoterica si usano due diverse formulazioni descrittive della condizione ‘unitiva’ corrispondenti a due modelli esperienziali difformi ma sostanzialmente equivalenti: in entrambe si parla di un ‘innalzarsi’ dell’anima a Dio o all’Assoluto trascendente o anche di uno ‘scendere’ della Grazia o della Potenza di Brahman nella immanenza della coscienza.

Ciò, per quanto detto, non implica una contraddizione, in quanto la Forza è ‘trascendente’, di fatto, rispetto all’io della ‘personalità storica’, che la sperimenta, quindi, come ‘altro da sé; ma anche è ‘immanente’ (vale a dire, naturalmente, ‘percepita come tale’) da chi sa già connettere il proprio io alla propria dimensione inconscia ‘superiore’, al Sé.

E’ lo stesso tipo di rapporto che lega, nella psicanalisi freudiana, l’io all’inconscio ‘inferiore’ di cui si può dire, analogamente, che è ‘esterno’ ed ‘interno’ all’io (nella distinzione freudiana tra psiche e coscienza l’inconscio è ‘interno’ alla psiche ed ‘esterno’ alla coscienza).

Per tutto quanto è stato detto non c’è da stupirsi del fatto (già notato dagli antichi) che nel momento in cui l’io percepisce l’entrata dell’Influsso nello spazio della sua coscienza o il suo io s’innalza alla Trascendenza, si altera anche la respirazione fisica.

E’ questo il motivo per cui col termine ‘ispirazione’ s’indica (con fondate ragioni) sia l’entrata dell’aria nell’organismo ‘fisico’ che l’ingresso dell’influsso spirituale (in qualche modo ‘in-vocato’) nell’organismo psichico, cioè nel corpo sottile’.

E’ in tale condizione che si verifica l’intensificazione delle funzioni psichiche superiori che si esplicano con una molteplicità di forme col variare dei contesti culturali e delle disposizioni psichiche individuali.

In tale ambito trova piena spiegazione un fenomeno rilevato in tutte le tradizioni mistiche (anche religiose) quale quello della ‘sospensione prolungata del respiro’ nel momento apicale dell’estasi unitiva, in cui l’anima si sentendosi come ‘tratta verso l’Alto’ o ‘riempita dalla Grazia/Shakti’ viene beatificata dal ritrovare la sua vera Essenza oltre lo spazio ed il tempo.


[1] Luigi Aurigemma, Il concetto di sublimazione da Freud a Jung, Rivista di psicologia analitica, 1985, p. 183.

[2] S. Freud, Cinque conferenze sulla psicanalisi, (1909), in Opere 1909-1912, Torino, Boringhieri, 1974, pp.171-172.

[3] S. Freud, L’io e l’Es, (1922), in Opere 1917-1923, Torino, Boringhieri, 1977, p. 507.

[4] Ibidem, p. 483.

[5] S. Freud, La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno [1908], in Opere, Boringhieri, Torino, vol. V, 1972, pp. 416-417.

 

[6] S. Freud, Il disagio della civiltà (1929), in Opere, Torino, Boringhieri 1975, p.602 e p.587.

[7] C. G. Jung, Briefe, Olten, Walter-Verlag, 1972, p. 221.

[8] Tale ascensione può avvenire ‘spontaneamente’ anche nel caso in cui una persona, del tutto ignara della dottrina esoterica, si concentri intensamente su un’immagine interiore con empito d’amore come è accaduto nel contesto religioso a taluni mistici cristiani. Esemplare è il caso di Santa Teresa d’Avila, la cui esperienza ‘mistica’ presenta tutti i caratteri di un’incoscia sublimazione dell’impulso sessuale. La celebre statua del Bernini ne è la raffigurazione più ‘esplicita’.

[9] Nella tradizione yoghica, l’uscita dell’anima dal brahma-randhra è essenziale anche (e soprattutto) al momento della morte perché in tal caso lo spirito consapevole ‘entra’ nei corrispondenti ‘domini’ (o ‘stati’) metafisici superiori (figurati, religiosamente, nei vari ‘paradisi’). Nella tradizione tibetana esiste persino una tecnica, quella del pho-wa, con cui l’adepto si esercita a far uscire il principio cosciente dal corpo al punto tale da provocare un’apertura ‘fisica’ sulla sommità del cranio. Cfr. W. Y. Evanz-Wentz, Lo yoga tibetano e le dottrine segrete, Ubaldini, Roma, 1973, pp. 259-280.

[10] Il nome ‘coccige’, con cui s’indica l’ultimo tratto della colonna vertebrale, viene dal latino coccyge(m) e dal greco kokkys-ygos che significa ‘cuculo’ per la sua forma che richiama quella del becco di quell’uccello. I latini, in effetti, parlavano di (os) sacru(m) così come i greci di hieròn ostéon. Per quanto detto si può capire la ragione di tale sacralità. Analoga tradizione sembra presente anche nella tradizione ebraica circa il coccige, chiamato in lingua aramaica luz (Cfr.  J. Evola, Lo yoga della potenza, ed. Mediterranee, Roma 1968, p. 210, n. 28).

 

 

 

[11] Ha ragione Julius Evola ad ipotizzare a tal proposito correlazioni (non forzatamente ‘storiche’ ma anche semplicemente ‘simbolico-strutturali’) tra le tradizioni misteriosofiche orientali ed occidentali affermando: “Come numero, i chakra riproducono il Settenario o Ebdomade che, com’è noto, figura in molteplici tradizioni misteriosofiche e iniziatiche. Quando in queste tradizioni si parla della gerarchia planetaria, dei viaggi celesti, dell’ascesa attraverso sette sfere, di un settenario ad ogni elemento del quale corrisponde un grado dell’iniziazione (come per esempio nei Misteri di Mithra), delle trasformazioni alchemiche della ‘materia prima’ anch’esse riferite ai pianeti, e via dicendo, in tutto ciò si deve vedere un simbolismo per esperienze analoghe  a quelle dell’ hatha-yoga (ascese attraverso i chakra). Queste realizzazioni non vanno ‘psicologizzate’ [qui la polemica implicita di Evola è nei confronti di Jung], ma vanno intese nei termini di una dilatazione cosmica della coscienza. Nell’ascesa lungo sushumna si assume il corpo di altrettanti ‘dei’, si prende possesso di altrettante sedi (loka) di là dal mondo sensoriale.” Op. cit., p. 209.

[12] Un’interessante elencazione di tali procedure è nel testo di Lilian Silburn, La kundalini o L’energia del profondo, Adelphi,Milano, 1977, pp. 127-165.

[13] Nota bibliografica. – Un primo approfondimento della dottrina indiana sulla kundalini può essere realizzato attraverso la lettura dei seguenti testi: 1) Artur Avalon, Il potere del Serpente, ed. Mediterranee, Roma 1968.   2) Julius Evola, Lo yoga della potenza, Ed. Mediterranee, Roma, 1968. 3)Swami Sivananda, Kundalini yoga, ed. Vidyananda, Roma, 1981. 4) Lilian Silburn, La kundalini o L’energia del profondo, Ed. Adephi, Milano 1997.

[14] Nella sostanza, la tradizione alchemica occidentale di origine egiziana non è diversa da quella cinese, ma va riconosciuto il fatto che essa si presenta con tratti spesso più oscuri ed enigmatici rispetto a quella orientale, sia indiana che cinese. Una buona introduzione allo studio dell’alchimia è senz’altro il testo di Julius Evola, La Tradizione ermetica, Ed. Mediterranee, Roma 1982.

[15] Lu K’uan Yü (Charles Luk), Lo yoga del Tao- Alchimia ed Immortalità, Ed. Mediterranee, Roma, 197 6.

[16] Ibidem, p.18.

[17] E’ interessante notare che anche nell’antica tecnica indiana del kriya yoga, diffusa in occidente da Paramahansa Yogananda nella prima metà del secolo scorso, il processo di sublimazione viene fatto precedere dalla concentrazione sul terzo occhio e sul respiro. Cfr. Paramahansa Yogananda, Autobiografia di uno yoghi, ed. Astrolabio, Roma, 1962, pp. 244-253.

[18] Ibidem, p. 29.

[19] Ibidem, pp. 30-31.

[20] Ibidem, p. 64.

[21] Ibidem, pp.198-199.

[22] Nota bibliografica – Un primo approfondimento della tradizione cinese può avvenire attraverso la lettura dei seguenti testi: 1) Lu K’uan Yü (Charles Luk), Lo yoga del Tao- Alchimia ed Immortalità, Ed. Mediterranee, Roma, 1976: 2) Lü-Tsu, Il mistero del Fiore d’oro, Ed. Mediterranee, Roma, 1971; 3) Mantak Chia, Tao yoga, Ed. Mediterranee, Roma, 1989. E’ interessante notare che nella specifica linea tradizionale seguita da Mantak Chia, la orbitazione microcosmica viene fatta iniziare dal centro energetico dell’ombelico.

[23] La via misterica richiede una trattazione a parte; è evidente, tuttavia, che una via di sublimazione delle energie era presente soprattutto nelle pratiche iniziatiche dionisiache e di ciò è ‘segno’ anche il simbolo che Bacco riportò dall’India, (dove, secondo il mito, regnò per numerosi anni) cioè il tirso. Questo era canna (sushumna) che aveva avvolte a spirale delle foglie d’edera e dei pampini (ida e pingala) e sulla sommità una pigna (il cervello stesso o la ghiandola ‘pineale’, così chiamata appunto perché a forma di pigna): per noi una chiara versione ‘occidentale’ della corporeità occulta indiana e sostanzialmente identica al ‘caduceo’ di Mercurio. A completare tale ‘assonanza’, va ricordato il precetto dionisiaco che, pur nello scatenamento dell’ebbrezza ‘orgiastica’, imponeva alle sue seguaci, le menadi, l’assoluta astinenza sessuale, condizione necessaria per trasmutare le forze sottili dell’anima.

[24] Platone, Simposio, 209 e – 211 c.

[25] Cfr. Ibidem, 180 c.

[26] Platone, Repubblica, 580 D-E.

[27] Maria Michela Sassi, Interiorità ed anima – La psichè in Platone, ( a cura di M. Migliori ed altri),Ed. Vita e pensiero, Milano, 2007, p. 280.

[28] Platone, Repubblica, 485 D. I tre tipi umani non possono non ricordare quelli analoghi della tradizione induista che distingue gli individui in ‘tamasici’ (quelli in cui predominano gli istinti), ‘rajasici’ (in cui prevalgono le affettività) e ‘satvici’ (in cui prevale la coscienza razionale e l’aspirazione metafisica).

[29] Platone, Timeo, 90 A- 90 C.

[30] Cfr. G. R. S. Mead, La dottrina del corpo sottile nella tradizione occidentale, Ed. Astrolabio, Roma, 1969.

[31] Il processo di sublimazione potrebbe iniziare, come nota il filosofo moderno Piero Scanziani, da semplici osservazioni che ciascun individuo può attuare ispirandosi al motto delfico che invita all’autoconoscenza come base di ogni vero sapere. Egli consiglia: “Proviamo a guardare questa nostra coscienza. Guardiamola in un’ardua, inconsueta e ferma introspezione. Conosci te stesso: Nosce te ipsum. Se scrivo o leggo o medito, sento la coscienza stringersi dietro la fronte. Se parlo, scende: s’addensa nella gola. Se amo, eccola nel petto. Se temo, è al plesso solare. Se m’adiro, è all’ombelico. Se bramo, è nel sesso. Mai ferma, sempre su e giù, mercurio, argento vivo.” Piero Scanziani, Aurobindo, Ed. Elvetica, Chiasso, 1973, p.115.

[32] Se vogliamo esplicitare la evidente corrispondenza ‘sapienziale’ con la tradizione indiana, si può affermare che, in linea di massima, la parte più bassa dell’anima corrisponde ai chakra inferiori: muladhara, svadhishtana e manipura, alla parte mediana anahata e visuddha, alla parte superiore ajna e sahasrara. Piccola nota bibliografica: oltre ai già citati dialoghi intitolati Fedro e Simposio, una buona prima lettura di approfondimento potrebbe essere il testo di Roberto Nistri, L’eros platonico, Ed, Scorpione, Taranto, 1992.

 

[33] E’ significativa, in tal senso, l’esperienza autobiografica narrata da Gopi Krishna nel suo testo: Kundalini – L’energia evolutiva dell’uomo, Ed. Astrolabio, Roma, 2000.

[34] E’ il caso, ad esempio, della figura (oltre che delle dottrine e pratiche) di Aleister Crowley (1875-1947).

[35] Tale doppio processo dell’ascesa e della discesa è chiaramente indicato da Platone anche nel celebre ‘mito della caverna’ (non a caso raccontato nel dialogo intitolato Repubblica) in cui il ‘prigioniero’ costretto nel buio di una grotta, riuscito a fuggirne e vista la luce (il Vero) sente poi la necessità di ‘liberare’ anche gli altri prigionieri, rimasti nella oscurità (della non-conoscenza). Molto realisticamente l’’utopista’ Platone racconta però che i compagni rimasti prigionieri potrebbero non credere al ‘liberato’ al punto tale che, se egli insistesse, per affrancarli, potrebbero arrivare ad ucciderlo (è facile congetturare che pensasse ed alludesse alla missione così come alla sorte del suo ‘sublime’ Maestro,  Socrate…).

[36] Il che corrisponde, nella sostanza, a quanto osservato con acutezza dal filosofo Spinoza (pur se con linguaggio religioso) il quale affermò che non è col sopprimere le passioni che si perviene alla conoscenza di Dio, ma è col conoscere Dio che le passioni vengono radicalmente meno (Breve trattato, cap. XXVI).

[37] Per approfondire tale prospettiva innovativa (ma del tutto ‘tradizionale’ nella sostanza) è utile, ad un primo livello, la lettura del testo di Ken Wilber: Oltre i confini- La dimensione transpersonale in psicologia, Ed. Cittadella, Assisi, 1985.